E tornò il governo delle tasse
Economia

E tornò il governo delle tasse

Napolitano si affida ai saggi, il Pd chiude alle larghe intese e al comando resta la squadra di Monti. Delegittimata, ma pronta a chiedere altri soldi ai cittadini

Dopo l’incertezza postelettorale, i 10 conigli estratti dal cilindro del presidente Giorgio Napolitano sotto forma di saggi avranno una sola, sicura, conseguenza: mantenere in vita il governo tecnico di Mario Monti che, dimissionario e senza la fiducia nel nuovo Parlamento, continuerà a prendere decisioni determinanti per il futuro dell’Italia e per le tasche dei cittadini. Risultato: nei prossimi mesi subiremo un salasso senza precedenti.

La drammatica situazione sta in poche cifre. Secondo la Cgia, l’associazione degli artigiani di Mestre, nel 2013 gli italiani sposteranno ancora in avanti il «tax freedom day» (il giorno simbolico dal quale il cittadino smette di versare il frutto del suo lavoro allo Stato), che cadrà alla metà di giugno, grazie a una pressione fiscale sui salari che si attesterebbe sopra il 54 per cento. Un numero monstre, contro una media Ocse del 35,3 per cento. Parallelamente, la pressione fiscale in percentuale sul pil dovrebbe raggiungere quota 45,1, primato storico. Mentre sul reddito delle imprese il fisco pesa addirittura per il 68 per cento, rispetto al 43 medio dell’Ocse.

In questa situazione quello presieduto da Monti è una sorta di governo zombie che resterà in carica per un tempo ancora indeterminato. Una specie di limbo, viste le difficoltà di formazione di un nuovo esecutivo, tra la rigida contrarietà di Pier Luigi Bersani a una grande coalizione con il Pdl e il ruolo dei 10 saggi che, con tutta la buona volontà, al massimo potranno produrre dei dossier o delle proposte istituzionali ed economiche impossibili da mettere in pratica in breve tempo. Non a caso preferiscono definirsi «facilitatori». Anche se uno di loro, il pd Filippo Bubbico, presidente della speciale commissione del Senato per i provvedimenti urgenti, ammette che «la vera emergenza è quella sociale. Bisogna intervenire subito a partire dal fisco».

Le scadenze si avvicinano. In attesa di capire se si riuscirà a rinviare la Tares, la nuova tassa sui rifiuti (ma come sarà possibile rinunciare a 1 miliardo quando già si ipotizza una manovra correttiva?), le tasche dei contribuenti si stanno già svuotando. Cominciato l’anno con i 50 centesimi in più di accise sui carburanti, i risparmiatori stanno già facendo i conti con la Tobin tax sulle transazioni finanziarie e con i nuovi bolli sui conti correnti con giacenze medie di almeno 5 mila euro. Non solo, nella busta paga di marzo sono state applicate le addizionali regionali e comunali che nel 2013 in media potrebbero toccare complessivamente almeno 150 euro. La batosta vera arriverà tra giugno e luglio e poi a fine anno: Imu, Irpef, Tares (se confermata), Ires per le società e Iva. La Confesercenti ha lanciato un allarme: quest’anno il prelievo complessivo sarà di 34 miliardi di euro, di cui 20 a carico delle famiglie, con un aggravio di circa 800 euro a famiglia e di 3 mila per ogni azienda.

«È indispensabile tagliare le tasse sui lavoratori e sui pensionati» ribadisce a PanoramaDomenico Proietti, segretario confederale della Uil. «Ridurre i prelievi fiscali di 600 euro a testa costerebbe 3,5 miliardi alle casse dello Stato che potrebbero facilmente essere recuperati con la lotta all’evasione e con i tagli dei costi della politica». A chi obietta che la riduzione delle tasse sarebbe immediata mentre le altre entrate avrebbero tempi aleatori, Proietti replica: «Nel 2012 la lotta all’evasione fiscale ha fatto recuperare 13 miliardi, per cui quest’anno è lecito attendersi un risultato almeno analogo. Già da quella somma si può attingere denaro fresco per far respirare lavoratori e pensionati. E sulla politica i tagli alle indennità decisi dai presidenti della Camera e del Senato dimostrano che, se si vuole, si può».

Intanto i primi 40 miliardi stanziati dal governo in due anni per pagare parte dei debiti contratti dalla pubblica amministrazione saranno decisivi per evitare che un sempre maggiore numero di aziende vada a gambe all’aria. Lo sblocco di questi fondi è in via di definizione e darebbe ossigeno a un sistema sotto pressione: secondo la Confesercenti, l’Imu pagata dalle imprese nel 2012 ammonta a 11,7 miliardi, con un prelievo aggiuntivo superiore del 90,4 per cento rispetto a quello che sarebbe stato versato con l’Ici. Le imprese subiscono l’assenza di provvedimenti che favoriscano la crescita e il crollo dei consumi. In gennaio, secondo l’Istat, il calo per i beni alimentari è stato del 2,3 per cento e quello per i non alimentari del 3,3. Ormai si risparmia su tutto, se la Coldiretti segnala che il numero di famiglie che acquistano frutta è crollato dell’11,3 per cento.

Il previsto aumento di un punto di Iva da luglio darà ragione a chi lo considera controproducente perché rischia di far diminuire ulteriormente i consumi. «L’aumento avrebbe senso solo se pareggiato da un calo dell’Irpef» ragiona Proietti «così come è ormai indispensabile un provvedimento ad hoc per allentare il patto di stabilità e consentire ai comuni che hanno denaro in cassa di investire». Dopo mesi di pressioni e di polemiche, anche questo problema è in via di soluzione, anche (sembra) se al costo di un anticipo delle addizionali regionali Irpef.

Taglio dell’Irpef e meno tasse per chi investe sono naturalmente punti fermi anche per Raffaele Bonanni, leader della Cisl, che però amplia il discorso: «Che cosa vuol dire in concreto favorire la crescita? Nessuno si occupa più di sviluppo, delle grandi opere, dell’energia. Dalla Tav della Val di Susa ai rigassificatori ci sono continue opposizioni, tutto viene bloccato e rischiamo così di trovarci sempre allo stesso punto all’indomani di ogni elezione». Per Bonanni, che incolpa la classe dirigente nazionale e locale per gli errori compiuti negli ultimi anni, si dovrebbe avere il coraggio di tornare «all’arte del compromesso, che è sempre stato al centro della politica, visto come infamante mentre è infamante quello che accade». Qualunque sarà il prossimo governo, dunque, per il segretario della Cisl è obbligatoria una collaborazione per far fruttare «i soldi già impegnati nelle opere ferme o che vanno avanti troppo lentamente. In caso contrario, è inutile continuare a parlare di disoccupazione».

La ricetta di Giulio Sapelli, docente di storia economica all’Università di Milano, è più netta: «Abbassare il carico fiscale dovunque, che sia lavoro, imprese o casa, e poi avviare una seria rinegoziazione con l’Europa». Il governo Monti, secondo Sapelli, ha già smentito la sua rigidità sbloccando i 40 miliardi per pagare i debiti della pubblica amministrazione: «È un provvedimento che rappresenta la cartina di tornasole di quello che si può fare, perché quando è scattato l’allarme generale il governo è stato costretto a discutere nelle sedi europee di provvedimenti fino a quel momento considerati impossibili».

Il governo zombie che ha in mano l’Italia (e che metterà pure mano a nomine di grande rilevanza) dovrebbe sentirsi circondato. Non da Beppe Grillo che urla «arrendetevi», ma dalle imprese e dalle famiglie che non ce la fanno più.

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Stefano Vespa