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Economia

Il contraddittorio preventivo: cos'è, cosa prevede

La guida del nostro esperto al contraddittorio preventivo in cui ecco quali sono i diritti del contribuente

Il principio del contraddittorio preventivo, secondo cui il fisco prima di emettere un atto di accertamento è tenuto a dare modo al contribuente di fornire elementi a suo discarico già nel corso del procedimento è al centro di un vivace dibattito anche perché attualmente, nell’ambito del DDL Semplificazioni all’esame della Camera, è stato inserito l’art. 11, in cui si cerca di attribuire a questo istituto di garanzia per il contribuente una portata ampia e generalizzata.

Il principio si è fatto strada con molta fatica nell’ordinamento italiano. Esso ha la sua radice nella legge generale sul procedimento amministrativo, la L. 241/90, che all’art. 7 impone alle pubbliche Amministrazioni di dare al destinatario di provvedimenti potenzialmente pregiudizievoli la possibilità di formulare osservazioni prima dell’emissione del provvedimento finale e, in ambito tributario, nello Statuto del contribuente (L. 212/2000), che richiama alcuni dei principi della L. 241/90 e impone all’Amministrazione finanziaria di non emettere l’atto di accertamento se, una volta formalizzate le contestazioni nell’ambito di un apposito processo verbale (PVC), non decorra un termine minimo di 60 giorni entro i quali il contribuente può dire la sua e fornire elementi a sostegno della sua posizione.

Una spinta rilevante è poi arrivata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, che in una serie di storiche sentenze (tra queste, la famosa sentenza Sopropè, in C. 349/07) ha affermato che, in sostanza, quello del contraddittorio preventivo è un principio di civiltà giuridica, generale ed ineludibile.

La giurisprudenza nazionale, tuttavia, non ha ancora trovato un indirizzo univoco. Un primo colpo di scena si è avuto con una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione, la n. 19667/2015, che ha affermato in modo netto e incondizionato, la portata generale, immanente nell’ordinamento, di questo principio. Nel giro di pochi mesi, la clamorosa retromarcia: con la sentenza n. 24823/2015 le Sezioni Unite hanno affermato che il principio non avrebbe carattere generale nell’ordinamento italiano, ma opera solo a livello comunitario. Troverebbe applicazione, quindi, solo per i tributi di interesse europeo (quelli c.d. armonizzati, come l’IVA, ad esempio).

La giurisprudenza di merito, però, non è incline ad allinearsi e sono molte le sentenze delle Commissioni Tributarie di primo e di secondo grado in cui si prendono esplicitamente le distanze da questo orientamento più restrittivo.

Anche la Corte Costituzionale, con una serie di ordinanze di rimessione, è stata chiamata a pronunziarsi, ma di fatto ha evitato di prendere posizione assumendo che il quesito non sarebbe stato correttamente posto. Di recente, la Cassazione con l’ord. 4564 del 15.2.2019, ha affermato che, anche nel caso di tributi non armonizzati il principio comunque opera in presenza di espressa previsione normativa. Pertanto, che nel caso di verifiche che comportano un accesso fisico presso la sede del contribuente, ai sensi dell’art. 12 co. 7 dello Statuto del Contribuente, è tenuto ad attendere almeno 60 giorni dalla conclusione della verifica, con l’emissione del verbale di constatazione (PVC) prima di emettere l’avviso di accertamento per dare modo al destinatario di esercitare il contraddittorio. Regola che, chiarisce la Corte, vale anche se l’accesso è di tipo istantaneo, al solo fine di acquisire la documentazione, poiché non è previsto alcun tipo di distinzione sulle tipologie di accesso.

Restano ancora molti gli aspetti da chiarire e gran parte della dottrina e della giurisprudenza di merito sostengono che tutte le verifiche si devono concludere con l’emissione di un PVC, incluse quelle a tavolino, sia perché solo sulla base del PVC che il contribuente è in grado di capire la natura delle contestazioni che gli vengono mosse, sia perchè, secondo molti, l’art. 12 dello Statuto del contribuente andrebbe intende riferirsi in modo generalizzato a tutte le verifiche e non solo a quelle che implicano un accesso fisico alla sede del contribuente.

Insomma, l’intervento del legislatore è quanto mai opportuno ed urgente. La proposta di legge è attualmente all’esame della Commissione Finanze della Camera e, per com’è formulata, prevede a pena di nullità l’obbligo di contraddittorio per tutti gli accertamenti (quindi, anche quelli a tavolino), ma escludendo quelli parziali (regolati dall’art. 41 bis DPR 600/73 e 54 co. 4 DPR 633/72). Il problema è che nella prassi applicativa l’Amministrazione tende a qualificare tutti gli atti di accertamento come parziali, per non precludersi ulteriori rettifiche dei redditi sulla base di elementi che possano eventualmente emergere successivamente all’emissione dell’avviso di accertamento.

Ora, sarebbe davvero il colmo se la norma, che persegue l’obiettivo di riconoscere dignità ad un importante principio di civiltà giuridica, dopo un percorso così travagliato venisse svuotata per effetto di un cavillo terminologico.

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Luciano Quarta