Tasse, Grilli batte Tremonti per 47 miliardi
Economia

Tasse, Grilli batte Tremonti per 47 miliardi

In nome del rigore, dal 2011 è in corso la spremitura degli italiani per tamponare la grande crisi. Ma nel confronto con il governo precedente i tecnici non hanno rivali

Tributi, balzelli, bolli, accise, gabelle, prelievi forzosi, addizionali, patrimoniali più o meno mascherate... In 12 mesi dalle tasche dei contribuenti sono usciti 42 miliardi di euro in più. Altri 54 miliardi sono in cantiere per l’anno prossimo, senza contare la nuova finanziaria che dovrebbe aggiungerne 6. Spiega Salvatore Rossi, vicedirettore della Banca d’Italia: «Le entrate delle amministrazioni pubbliche sono aumentate nel complesso del 3,8 per cento rispetto al 2011 a fronte di un calo del prodotto nominale (cioè inflazione compresa) pari all’1 per cento. La loro incidenza sul pil sale quindi dal 46,6 al 48,9 per cento». Un record.

Il fisco è troppo pesante, la politica economica è sbilanciata. La maggioranza fibrilla, Pd, Pdl e Udc dettano le condizioni minacciando di non votare la legge di stabilità. Mario Monti non nasconde la propria irritazione, tanto da rispondere piccato a un cronista irriverente: «Troppe tasse? Chiedete a Vittorio Grilli». Sembra di sentire Silvio Berlusconi con il suo ministro dell’Economia Giulio Tremonti un anno fa. Sarà il fantasma di Quintino Sella, sarà la sindrome da imposta sul macinato, ma chiunque sieda su quella poltrona è destinato a fare da capro espiatorio.

Chi ha tassato di più gli italiani, Grilli o Tremonti? A prima vista non c’è gara. Il decreto salva Italia a dicembre ha reintrodotto l’Imu sulla prima casa (11 miliardi di euro l’anno nelle casse dello Stato) e con un nuovo giro di vite ha aumentato di un altro 0,6 la pressione fiscale (imposte e contributi sul prodotto lordo) già salita al 44,7 per cento. Eppure, il rigore è cominciato con la finanziaria del settembre 2011, presentata da Tremonti. Il suo successore ha aggiunto 21,7 miliardi nel 2012 e oltre 25 per il 2013.

La strana coppia (Grilli è l’unico bocconiano con il quale Tremonti va d’accordo) ha affrontato insieme la grande crisi del 2008, l’uno come ministro l’altro come direttore generale del Tesoro. Fino alla primavera 2011 erano riusciti a camminare sulle onde presentando finanziarie leggere, soprattutto
dal lato delle entrate (appena 3,6 miliardi in più nel 2011). I tagli lineari hanno fatto impazzire tutti i membri del governo, ma per la prima volta la spesa pubblica in rapporto al prodotto lordo si è ridotta di 2 punti. Con un differenziale tra titoli di stato italiani e tedeschi attorno al 2 per cento.

Finché in autunno l’attacco dei mercati diventa insostenibile. Tremonti introduce 26 nuovi provvedimenti, dai tributi comunali fino all’imposta sulle attività finanziarie, ci sono gli aumenti dell’Irap per banche e assicurazioni, il bollo sulle attività finanziarie, e c’è un punto in più dell’iva che scatta il 17 settembre. Una stangata i cui effetti si sentono fino al 2013. E non basta: a dicembre il governo dei tecnici non aggiunge solo l’Imu, ma anche l’addizionale regionale Irpef, l’imposta sulle attività finanziarie scudate, l’aumento dei contributi per i lavoratori autonomi, il tributo comunale sui rifiuti.

Le brutte sorprese non mancano nemmeno nella legge di stabilità presentata il 9 ottobre scorso. Per esempio il taglio retroattivo alle detrazioni Irpef o la «patrimonialina»: chi lascia i propri depositi in conto corrente subisce un prelievo di 34,5 euro, chi compra una quota di un fondo paga l’1,5 per mille. Quanto alla Tobin tax, sarà più alta che in altri paesi: 0,05 per cento rispetto allo 0,01. L’imposta sulle transazioni finanziarie (esclusi i titoli pubblici) colpirà non solo gli speculatori, ma anche i risparmiatori che investono in azioni.

La prima finanziaria firmata Grilli rischia di durare lo spazio di un mattino. Lo scambio tra il rialzo dell’iva (1 punto dal luglio prossimo) e il ribasso dell’Irpef sui redditi inferiori (le aliquote dovrebbero scendere dal 27 al 26 e dal 23 al 22) è il pomo della discordia. Sembrava una mossa astuta all’insegna dell’equità sociale. Fatti i conti, invece, il 45 per cento delle famiglie, quelle con i redditi più bassi, sborserà in media 140 euro in più. La stima viene dal Cer (il Centro Europa ricerche presieduto da Giorgio Ruffolo), un pensatoio vicino al centrosinistra. Il ministro si difende: «Stiamo riducendo le tasse, non le aumentiamo». Però il taglio dell’imposta sui redditi potrebbe saltare. Quanto all’iva, l’aumento scatta a luglio, quindi se la vedrà la prossima legislatura.

Jean-Baptiste Colbert, che teneva in mano la cassa di Luigi XIV, il re Sole, diceva che tutta l’arte del buon ministro è spennare l’oca senza farla strillare. Forse il governo dei tecnici doveva ascoltare i consigli del primo grand commis dell’era moderna.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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