Stipendi, ecco perché in Italia diminuiscono
Economia

Stipendi, ecco perché in Italia diminuiscono

Secondo uno studio dell'Ires-Cgil, i salari netti hanno perso tra 500 e 600 euro negli ultimi 6 anni. Colpa delle addizionali irpef e del fiscal drag, cioè l'aumento delle tasse causato dall'inflazione

Circa 500 euro per i single e ben 600 euro per i lavoratori sposati. E' l'aumento medio delle tasse che ha colpito gli stipendi degli italiani negli ultimi 6 anni, caratterizzati dalla più grave crisi economica del dopoguerra. A dirlo è uno studio realizzato dall'Ires, l'istituto di ricerca che fa capo alla Cgil, assieme al Cer (Centro Europa Ricerche).

PERCHE' GLI ITALIANI GUADAGNANO POCO

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L'aumento delle imposte sui salari, secondo lo studio dell'Ires-Cgil, è dovuto all'effetto combinato di due fattori. Il primo è l'aumento delle addizionali dell'Irpef (l'imposta sui redditi delle persone fisiche) che colpisce le retribuzioni di tutti gli italiani. Negli ultimi 6 anni, le aliquote dell'irpef nazionale (incassata dal governo di Roma) non sono cresciute di moltissimo: in media dell'1,2% per un  lavoratore coniugato e dell'1% per un single. Purtroppo, però, un'altra mini-stangata è arrivata con l'incremento delle addizionali regionali e comunali (incassate dagli enti locali), le cui aliquote sono salite dello 0,7% in 6 anni. Risultato: tra il 2007 e il 2013, il peso dell'imposta sui redditi dei lavoratori dipendenti è salito dell'1,9% per chi è sposato e dell'1,7% per chi invece vive da solo.

IL FISCAL DRAG.

Come se non bastasse, a rosicchiare gli stipendi degli italiani ci s'è messo pure il fiscal drag, il drenaggio fiscale, cioè un fenomeno di cui si parlava molto negli anni '80 e che, negli ultimi due o tre lustri, è finito un po' nel dimenticatoio. Si tratta di un aumento del peso fiscale sui salari determinato dall'azione concomitante di due fattori: l'inflazione e la progressività dell'irpef. In pratica, ogni anno i i salari italiani subiscono un rialzo fisiologico, per il loro adeguamento alla crescita dei prezzi al consumo. In altre parole, ogni 12 mesi i lavoratori guadagnano in valore assoluto un po' di più rispetto all'anno precedente anche se, di fatto, il loro potere d'acquisto rimane invariato. Va ricordato, però, che l'irpef è un'imposta progressiva, che si articola per scaglioni di reddito: se quest'ultimo aumenta, cresce anche l'aliquota dell'imposta. Per la parte di retribuzione fino a 15mila euro, per esempio, l'irpef è pari al 23%. Tra 15mila e 28mila euro sale al 27%, e così via fino a raggiungere un massimo del 43% per chi guadagna più di 75mila euro.

E' proprio questo il meccanismo su cui si basa il fiscal drag. Grazie alla crescita dello stipendio provocato dall'adeguamento all'inflazione, i contribuenti italiani passano da uno scaglione dell'irpef più basso a uno più alto, pagando dunque maggiori tasse sui redditi, anche se il loro potere di acquisto e la loro ricchezza non sono mutati. Secondo i calcoli dell'Ires-Cigl, negli ultimi 6 anni il fiscal drag ha provocato un aumento medio delle tasse sugli stipendi compreso tra lo 0,2 e lo 0,6% ogni 12 mesi, a seconda dei diversi profili di lavoratore.

Nel 1989, quando l'inflazione era pari a al doppio di oggi (6% contro meno del 3%), fu messo in cantiere un meccanismo di lotta al fiscal drag, con l'adeguamento automatico degli scaglioni dell'irpef alla crescita dei prezzi al consumo. Nel 1992, con l'inizio delle politiche di austerity sul bilancio pubblico inaugurate dai governi della seconda repubblica, questo sistema fu però accantonato a data da destinarsi. A distanza di 20 anni, tuttavia, i risultati sulle retribuzioni degli italiani cominciano a sentirsi, anche se l'inflazione non è un fenomeno preoccupante.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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