Stagnazione e inflazione, siamo nel tunnel della stagflazione
Economia

Stagnazione e inflazione, siamo nel tunnel della stagflazione

È uno dei frutti amari della globalizzazione: materie prime sempre più costose a causa delle richieste dei Paesi emergenti, e questo nonostante la crisi delle economie occidentali

Redditi che crescono nominalmente solo dell’1,1%, segnale di una situazione di stagnazione se non di recessione, e prezzi che invece incalzano ad un ritmo di crescita del 3,3%, sintomo di un’inflazione ormai conclamata. E’ la somma di questi due fattori a sancire in Italia uno stato economico che i tecnici definiscono di stagflazione, ossia stagnazione unita a inflazione, appunto. E’ una delle condizioni più preoccupanti in cui può ritrovarsi un Paese, perché significa che i consumatori pur spendendo meno e avendo meno denaro da impiegare, si confrontano con prezzi che continuano a crescere.

“Normalmente – spiega a Panorama.it Carlo Scarpa, economista dell’Università di Parma – funziona il meccanismo della domanda e dell’offerta, che fa sì che stagnazione e inflazione non si presentino mai insieme. Cioè di fronte alla richiesta calante di prodotti, dovuta a un taglio dei redditi, automaticamente l’offerta si adegua diminuendo i prezzi e colmando per questa via il calo della domanda”. Quello che sta invece avvenendo in questi mesi è un meccanismo decisamente diverso, che comunque, anche se molto più raro, economicamente trova una spiegazione altrettanto plausibile. “Siamo davanti all’aumento di costi, soprattutto delle materie prime – dice Scarpa – e questo provoca un aumento dei prezzi dei prodotti che in questo caso però produce anche un forzato rallentamento della produzione, che causa carenza di lavoro e dunque redditi più bassi”.

Una spirale infernale la cui spiegazione andrebbe ricercata dunque nei prezzi di alcune materie prime, e non necessariamente il petrolio. “I costi del greggio infatti – fa notare Scarpa – seppur percepiti molto alti a causa dei prezzi di benzina e diesel che risentono delle accise statali, non sono in realtà così esagerati come si crede. Parliamo di circa 100 dollari a barile, una somma ancora abbordabile rispetto ai 200 dollari che si raggiunsero nel corso di alcune crisi petrolifere del passato”. E allora dove sta l'inghippo? L’analisi del problema deve necessariamente partire dalla constatazione iniziale che nonostante le economie occidentali siano tecnicamente in recessione, da altre parti del mondo le cose vanno in maniera molto differente.

“La Cina – sottolinea Scarpa –, solo per citare l’esempio più eclatante, nonostante si dica che stia registrando un rallentamento, continua a crescere a ritmi che sarebbero una vera manna per noi”. Dobbiamo fare i conti dunque con economie in crescita che continuano a richiedere sul mercato materie prime in maniera massiccia, facendo in modo che il loro prezzi non solo non scendano, ma in alcuni casi salgano addirittura, e questo nonostante in Occidente, con la crisi dilagante, sarebbe auspicabile un loro abbassamento. “Mi riferisco ad esempio ai costi dell’acciaio, del ferro, del rame o di tutti i materiali da costruzione – continua Scarpa -. In questo scenario, potremmo dire dunque che l’inflazione con cui stiamo facendo i conti in questo momento è ancora una volta figlia della globalizzazione, e del fatto che l’economia italiana dipenda sempre più da quelle di altri Paesi nei quali al momento non si registra una crisi pesante come la nostra”.

Uno scenario questo da considerare con grande attenzione, soprattutto se si vuole studiare una strategia di uscita dall’attuale stato di stagflazione. Bisogna infatti subito prendere atto che agire su un’inflazione conseguenza diretta della crescita galoppante di economie di Paesi in piena espansione non è neanche lontanamente pensabile. L’unico tasto su cui agire resta dunque quello della stagnazione, con l’obiettivo di ridare fiato alla crescita , come d’altronde confermato dalle ultime scelte del nostro governo. “In questo contesto – aggiunge Scarpa – è difficile immaginare una soluzione semplice. Di certo Monti dovrà puntare a stimolare gli investimenti delle aziende per farne ripartire a pieno regime l’attività. Sarà questo uno dei fronti più importanti per portare l’Italia fuori dalla situazione di crisi attuale”.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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