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ANSA /Giuseppe Lami
Economia

Popolare di Vicenza: salta l'IPO, le conseguenze per gli azionisti

Ecco cosa rischiano 120 mila piccoli soci che continueranno ad avere titoli non scambiabili sui mercati finanziari

Gli unici ad averci rimesso dal salvataggio di "sistema" della Banca Popolare di Vicenza sono i "vecchi" soci.

Stiamo parlando di circa 120.000 piccoli azionisti, tra pensionati, lavoratori e piccoli imprenditori  - un numero che sale a 205.000 se sommiamo gli azionisti di Veneto Banca, l'altro istituto veneto che rischia un epilogo simile fra poche settimane - che in passato avevano comprato le azioni dell’istituto vicentino, allora guidato dal presidente Gianni Zonin, in cambio di finanziamenti che difficilmente avrebbero avuto da altri istituti.

Un affare, per carità, fino a un anno fa: valevano 62,5 euro. Il loro prezzo è poi crollato del 90% lo scorso febbraio a poco più di 6 euro.

Ora si è quasi azzerato: il fondo Atlante, gestito da Quaestio Capital Management SGR e partecipato dalle principali banche italiane (Intesa Sanpolo, UniCredit e UBI), ha rilevato il 99,33% del capitale a 0,10 euro per azione investendo 1,5 miliardi di euro ed evitando un altro bail-in dopo quello dei quattro istituti dell'Italia Centrale a fine 2015.

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Il crollo del valore dei titoli
Come è stato possibile questo crollo verticale? Certo le difficoltà della banca erano note a tutti: basta fare una rapida rassegna degli articoli pubblicati negli scorsi 12 mesi.

Di mezzo, però, c’è anche il fattore trasparenza: la Popolare di Vicenza non era quotata a Piazza Affari e le azioni erano valutate dalla banca stessa perché non erano scambiate in un mercato vero e proprio dove poter stabilire un prezzo sulla base del meccanismo di domanda e offerta.

Fuori dalla Borsa, i titoli della banca vicentina non erano studiati nemmeno dagli analisti delle banche d’affari che in genere stimano un prezzo di riferimento (target price) ed esprimono un giudizio (buy, comprare; hold, tenere; o sell, vendere) per orientare gli investitori.

Insomma, i risparmiatori che avrebbero voluto scaricare i titoli nei scorsi mesi non potevano farlo in un mercato liquido e indipendente.

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I rischi fuori da Piazza Affari

Ora che lo sbarco in Borsa è saltato i 120.000 soci continuano a restare in questa sorta di limbo: alla fine si ritrovano in mano un investimento fuori dal mercato finanziario, un campo dove scorrazzano gli agguerriti operatori del private equity, ma senza avere le medesime competenze.

Senza contare coloro che avevano deciso di partecipare all’aumento di capitale facendo valere il diritto di prelazione; ora hanno perso la speranza di recuperare qualcosa: sono circa 6.000 soci ulteriormente beffati.

Per tutti gli altri, poi, c'è il rischio della futura vendita dell'istituto a un grande investitore: un'altra banca o un fondo di private equity potrebbe accordarsi con il fondo Atlante concedendo poco ai piccoli azionisti, che saranno con molta probabilità informati dell'operazione ad affare fatto.

Fuori dalla Borsa, la Popolare di Vicenza non è sottoposta infatti alla normativa sull'Opa (Offerta pubblica di acquisto), obbligatoria solo per le società quotate.

Chi vuole mettere le mani sul capitale di una società presente a Piazza Affari deve comunicarlo in tempo alla Consob (l'authority per i mercati finanziari) e pubblicare un documento con tutte le informazioni necessarie per consentire a tutti gli investitori - professionali e non - di formarsi un giudizio sull'operazione e agire di conseguenza, comprando o vendendo il titolo.

Cosa che non sarà garantita ai piccoli azionisti della Popolare di Vicenza.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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