A scuola di imprenditorialità
Economia

A scuola di imprenditorialità

Dalla Silicon Valley e da una cultura che premia innovazione e rischio arriva BizWorld Italia

Non è solo la tecnologia che rende oggi Silicon Valley il più grande incubatore d'imprese innovative del mondo. È anche il germe dell'imprenditorialità. Qui il terreno è fertile per incoraggiare i giovani e i meno giovani a buttarsi in nuove imprese, senza paracadute; a rialzarsi dopo i fallimenti e a riprovarci. Soffrendo come bestie nel corso dell'avventura. Ma con in testa un sogno: trasformare una propria idea in una squadra, in un prodotto, una realtà.

Nick Bennett è un diciassettenne di San Francisco, di madre italiana. È stato il più giovane studente della Draper University , la scuola di imprenditorialità fondata dal venture capitalist Tim Draper . Nick non ha amato particolarmente la high school americana, ma la Draper gli ha risvegliato un entusiasmo che non sapeva di avere. Non dimenticherà facilmente il suo "pitch", cioè la presentazione del suo progetto imprenditoriale, davanti a 14 affermati venture capitalist. Ora se gli chiedi che vuole fare da grande la risposta è "disrupt markets", sconvolgere mercati. L'obiettivo dei corsi è, infatti, creare la forma mentis per osare, andare al di là dell'esistente, immaginare nuovi prodotti e modi di fare le cose. Saper creare team leali. Imparare a sacrificarsi per arrivare all'obiettivo. Non a caso, il "futuro" è una materia importante nel curriculum: conta saper estrapolare tendenze dai fenomeni in atto e vedere il mondo con occhi nuovi. Come Steve Jobs quando pensava ad Ipod, Iphone e Ipad a fine anni Novanta e il resto del mondo non vedeva oltre il PC.

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Molti si chiederanno: ma davvero l'imprenditorialità si può esportare? A San Francisco sono convinti di sì. Come tutti i talenti umani, lo spirito imprenditoriale c'è in una parte della popolazione. La chiave è riuscire a stimolarlo: sia mostrando come si diventa imprenditori sia dando valore e prestigio sociale a chi ne fa buon uso.

Adriano Marconetto è un imprenditore torinese che ha capito dove bisogna arrivare e sta facendo il possibile per esportare questo germe in Italia. Il progetto si chiama BizWorld e sta prendendo piede rapidamente.

In BizWorld ogni classe è divisa in quattro e ogni gruppo simula un'azienda che compete con le altre tre. Ogni ragazzo riceve un ruolo e responsabilità ben chiare. Insieme definiscono una strategia di sviluppo: devono progettare, produrre, promuovere e vendere un prodotto. Si confrontano con i gusti dei pubblico - in genere un'altra classe e, quando possibile, genitori e parenti - e sfidano la concorrenza agguerrita degli altri gruppi. Vince chi riesce a creare il valore più alto per il team, derivante essenzialmente dalla capacità di creare profitto. Dopo questo corso i ragazzi, crescendo, sono assai meno sensibili al fascino del posto fisso.

Marconetto ha cominciato a portare Biz World due anni fa alla scuola Alvaro-Modigliani di Torino. È stato un successone. Ne è nata la non-profit BizWorld Italia che sta facendo proseliti in tutto il Paese. La nostra creatività, dice Adriano, si adatta benissimo ad un metodo che ribalta quello classico: 25 lavorano in squadra e un docente o un volontario coordina. Quasi sempre i ragazzi indicati come più deboli o problematici risultano tra i più intraprendenti e dinamici. È un altro bell'esempio di come Silicon Valley stia aiutando l'Italia a ritrovare se stessa: in questo caso, a riscoprire lo spirito d'impresa che fa di noi, ancora oggi, il Paese dei quattro milioni di piccole imprese.

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Mauro Battocchi

Sono console italiano a San Francisco. Ho alle spalle il servizio diplomatico in Germania e Israele per promuovere le nostre imprese. Ho lavorato per un periodo anche in azienda, in Enel. Il mio blog "San Francisco chiama Italia" racconta di una città che estende ogni giorno la frontiera del possibile; che disegna il modo di vivere globale con le sue battaglie di libertà e con l’innovazione tecnologica. La città e il nostro Paese hanno un rapporto che risale alla corsa all’oro di metà Ottocento. Oggi è quanto mai importante per il nostro futuro.

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