Alitalia
Economia

Perché il salvataggio Alitalia è un brutto pasticcio

Il governo mette insieme un'armata di soci non esperti di aerei o in conflitto di interessi e con lo Stato che torna padrone. Evitando la soluzione più logica

Un bel pasticcio, che se non ci fossero di mezzo i soldi dei contribuenti avrebbe anche dei risvolti comici: questo sta diventando il salvataggio di Alitalia sotto la regia del governo giallo-verde e in particolare del ministro del Trasporti e vicepremier Luigi Di Maio. Secondo i piani dell’esecutivo, la compagnia aerea sarà controllata dalle Ferrovie dello Stato, con una quota del 35%, e dal ministero dell’Economia, attraverso una partecipazione intorno al 15%. Poi ci saranno la compagnia americana Delta Airlines, che sottoscriverà una quota del 10%, e forse il gruppo Benetton, proprietario dell’aeroporto di Fiumicino e di Autostrade, a coprire il 40% restante, da solo o affiancato da altri soci, come il gruppo di costruzioni Toto (fondatore di Air One) o Gérman Efromovich, socio della compagnia colombiana Avianca. Un’armata un po' eterogenea, che ricorda quella messa in volo dal governo Berlusconi con i “capitani coraggiosi”.

Comunque, alla fine avremo un’Alitalia controllata dallo Stato, dalle Ferrovie e forse da un gestore aeroportuale. Glissando sul fatto che nell’aprile di due anni fa il Di Maio d’opposizione escludeva a gran voce di voler nazionalizzare Alitalia, bisognerebbe porsi alcune domande. Per esempio, chiedersi se altrove, nel mondo, esistono compagnie aeree con le ferrovie come socio forte. “Non me ne risulta nessuna” risponde Andrea Giuricin, docente universitario ed esperto di trasporti, “al massimo esistono accordi di collaborazione, come quello stretto proprio da Trenitalia con Emirates per offrire ai viaggiatori un biglietto unico volo più treno”. Quando ci racconteranno delle fantastiche sinergie tra Fs ed Alitalia sapremo dunque che cosa rispondere: bastava fare un accordo.

Seconda domanda: esistono compagnie aeree che hanno tra i soci il gestore dell’aeroporto più importante in cui operano? Risponde ancora Giuricin: “In Europa non mi risulta, mi viene in mente solo il caso del Qatar dove la società che controlla la Qatar Airways possiede anche il gigantesco scalo di Doha”. Come sottolinea Giuricin, in Europa un’eventuale partecipazione azionaria di un gestore aeroportuale in una linea aerea potrebbe creare dei problemi di antitrust, visto che i servizi degli aeroporti sono pagati dalle stesse compagnie.

Ma a parte questi problemi, tale compagine di azionisti sarà in grado di gestire Alitalia e di farla tornare in utile? Probabilmente no: “Questa è la soluzione che io chiamo ‘calcio alla lattina’” dice Giuricin: ”tra due o tre anni la lattina tornerà a terra a saremo al punto di partenza”. Nel frattempo i contribuenti italiani avranno spesi altri soldi dopo i circa 8 miliardi di euro tirati fuori finora.

Naturalmente una soluzione alternativa ci sarebbe, quella che è stata adottata nei Paesi normali: cedere l’Alitalia a una grande compagnia in grado di farla funzionare. Come Lufthansa, che fino a due anni fa (e forse ancora oggi) era disponibile ad acquistare Alitalia. Del resto la società tedesca ha già rilevato Brussels Airlines, Austrian Airlines, Swiss mantenendole in vita con i loro hub e nel caso di Swiss, trasformandola nella linea del gruppo che fa più utili. Certo, per entrare nel mondo Lufthansa bisogna accettare una dura ristrutturazione e la fine delle ingerenze politiche. Cose per i politici italiani sono inaccettabili. E poi, si chiede la nostra classe dirigente, come facciamo senza compagnia di bandiera, così strategica? Ma quale strategica: oggi Alitalia trasporta solo l’8% dei passeggeri internazionali in entrata e in uscita dal Paese, è al quinto posto dopo Ryanair, Easyjet, Lufthansa e Iag (British più Iberia)

E invece andiamo avanti così, buttando soldi dal finestrino (la compagnia perde 500 milioni all’anno) e non accettando una verità molto semplice: Alitalia è troppo piccola per farcela da sola, trasporta 21 milioni di passeggeri all’anno, meno della svedese Sas, un terzo della Turkish, addirittura un sesto del gruppo Lufthansa. Perché non facciamo come gli spagnoli, che hanno ceduto Iberia alla British e chiudiamo questa voragine una volta per tutte?



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Guido Fontanelli