Non c'è ripresa senza fabbrica
Economia

Non c'è ripresa senza fabbrica

La crisi si supera con la manifattura. Come stanno facendo gli Stati Uniti. E facendo incontrare industria tradizionale e innovazione

La ripresa è vicina, forse. Ma la produzione industriale in Italia continua a calare (siamo ormai i peggiori dell’Eurozona secondo i dati Istat), anche se a dicembre ha avuto un leggero rimbalzo positivo (Confindustria). All’estero però battiamo persino la Germania, almeno nella meccanica: l’export nonostante tutto continua a tirare. Dal fronte europeo arrivano parole di speranze, ma SuperMario (Draghi, è rimasto l’unico…) è cauto , bisognerà aspettare la fine del 2013 per vedere l’uscita dal tunnel.

Alla doccia scozzese ci si abitua ed è un bene non farsi spaventare dall’alternanza di spruzzi caldi e freddi. Elezioni permettendo, il clima generale comunque sta cambiando al punto che persino i gelidi banchieri di Goldman Sachs dicono che lo spread non salirà più, anche se avremo ancora un anno di recessione.

Sbaglieremmo però a pensare che basta aspettare che passi la nottata per tornare a godere della luce. Non è detto che il sole torni a battere sulle stesse pianure, anzi è molto poco probabile. E soprattutto non è pensabile poter ricominciare a correre se il corpo resta gracile e la dieta sbagliata. Il miglioramento del quadro internazionale certamente aiuterà. Il ravvedimento dell’Unione Europea, che finalmente comincia a rendersi conto che avere i conti a posto non serve a nulla se poi il risultato è lasciare la gente senza lavoro, è importante. Ed è vero, come ci ha ricordato sempre SuperMario, che il contagio vale anche per i sentimenti positivi e non solo per quelli negativi. Ma tutto questo rischia di essere inutile se l’Italia non si metterà in forma (fisco, federalismo, infrastrutture, giustizia mezzogiorno, spesa pubblica: la lista è sempre la stessa), qualunque sarà il governo per la prossima legislatura. E ancor peggio sarà se cercherà scorciatoie fondate su pericolose illusioni. Prima fra tutte che basti un tocco di innovazione e la giusta dose di digitale per far ripartire la locomotiva. Il recupero del ritardo tecnologico è una precondizione necessaria ma non sufficiente, quindi ben venga l’Agenda Digitale (se e quando diventerà realtà) ma non sarà certo quella a produrre la svolta verso una nuova fase di crescita.

Non funziona così e lo dimostra il “caso americano”. Oltreoceano si sta sperimentando una nuova modalità di sviluppo che non passa più dalla finanza. Gli Usa stanno invertendo la rotta puntando su una decisa politica industriale dopo anni di delocalizzazione, trionfo dei servizi, finanziarizzazione. Insomma, si torna a fare  fabbrica. Certo, fabbriche nuove, dove conta l’innovazione, dove servono le opportunità della tecnologia, l’Internet delle cose, le nanotecnologie, e via sperimentando. Ma fabbriche, dopo la grande sbornia finanziaria. La manifattura resta centrale (e lo ricorda un recente report di McKinsey, Manifacturing the future) e noi non possiamo dimenticarlo anche perché, alla fine, non siamo messi male: quarti al mondo, dietro Stati Uniti, Cina e Germania. Ma dobbiamo crederci, dobbiamo far sì che il nostro tanto declamato made in Italy incontri l’innovazione e che il digitale non produca solo app e gadget ma serva a far aumentare quella produttività che abbiamo perso nel corso degli ultimi decenni. E non perché siamo il Paese delle piccole e medie imprese, anzi. Ma perché ancora restiamo il Paradiso dei protettorati, dei salotti buoni, della compatibilità politiche e delle carriere senza senso. L’Europa ha compreso che se gli Stati Uniti ripartono, indebitati sì ma tonici, non può fare da zavorra in nome di un’austerity senza senso. E le manovre di riconversione sono cominciate. Evitiamo per favore di finire per restare noi la palla al piede.

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