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Economia

Riforma Irpef: cosa cambia nel 2020

Il governo è al lavoro per realizzare il taglio del cuneo fiscale, ma le risorse sono poche a fronte di un progetto complesso

Tagliare il cuneo fiscalea partire dai redditi medi. E' questa la sfida del 2020 del governo Conte-bis.

La riduzione delle tasse (in particolare dell'Irpef che grava sui lavoratori dipendenti) è un sogno cui, storicamente, ambiscono tutti i governi, ma è un progetto difficile da realizzare vista la difficoltà di far quadrare i conti in Italia (specie in materia di debito pubblico e di rapporto col Pil) e i paletti imposti dall'Europa con la minaccia delle clausole di salvaguardia a fare da colonne d'Ercole a ogni tentativo di alleggerimento del carico fiscale sugli italiani.

Come dovrebbe essere riformata l'Irpef

Conte, però, ci prova inserendosi sulla scia del bonus 80 euro di Renzi, ma allargando la platea degli aventi diritto a un minor peso fiscale fino a un reddito di 35.000 euro annui.

Il tentativo di riformare le aliquote Irpef era stato fatto anche nella manovra di bilancio per il 2020, ma non era andato a buon fine per assenza di risorse.

Entro metà anno, promette l'esecutivo, la riforma Irpef però dovrebbe essere realtà e determinerebbe uno sgravio fiscale di 500 euro annui per i lavoratori dipendenti con reddito fino a 35.000 euro che entro il 2021 arriverebbero a 1.000.

Per realizzare questo progetto (che riguarderebbe 4,5 milioni di contribuenti) sono già stati messi a bilancio 2 miliardi di euro per il 2020 e 5 miliardi per il 2021.

Dove trovare le risorse?

Il problema è che dopo il 2021 con la spada di Damocle dell'aumento dell'Iva (per ora solo rimandato) le risorse ancora non ci sono e in termini di guadagni per lo Stato si parla di una riduzione del gettito di 20 miliardi di euro (e di un punto di Pil).

La riforma, che per stessa ammissione dell'esecutivo, si annuncia complessa dovrebbe prevedere la riduzione e l'accorpamento di alcune aliquote. Al momento per i redditi fino a 15.000 euro vige un'aliquota del 23% e per i redditi dai 15 ai 35 mila euro invece l'aliquota è del 27%.

Il Governo vorrebbe accorpare le due aliquote in un solo scaglione al 20%.
Si tratta di una riforma molto importante da un punto di vista economico visto che ogni punto di riduzione della prima aliquota costa circa 4 miliardi.

Più costi che benefici

Inoltre gli effettivi benefici per i contribuenti sarebbero in realtà pochi, mentre i costi per lo Stato ingenti. Non solo: per il 2022 il Governo Conte Bis ha anche l'onere di trovare altri 6 miliardi di euro per scongiurare l'aumento dell'Iva e la coperta, già oggi, sembra davvero molto corta.

L'unico modo per ragionare su una progressiva riduzione delle tasse sarebbe quello di pensare di tagliare sgravi e deduzioni per i redditi più alti (già quest'anno chi supera i 120.000 euro annui non potrà più godere delle detrazioni del 19%), ma si tratta di una manovra politicamente molto impopolare che i governi cercano di evitare per non sollevare il malumore degli elettori.

Al momento si tratta solo di ipotesi cui i tecnici stanno lavorando, ma il tema del taglio del cuneo fiscale e quindi del costo del lavoro dipendente terrà banco per tutto il 2020.

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Barbara Massaro