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Scott Olson/Getty Images
Economia

Petrolio ai minimi, chi ci perde e chi ci guadagna

Opportunità per Europa, Cina, India e Giappone, problemi per Russia, Venezuela, futuro incerto per l'Arabia Saudita e vantaggi enormi per l'America

L'offerta continua a crescere (negli Stati Uniti) mentre la domanda cala (soprattutto in Cina, in Brasile e in Europa), e il prezzo del petrolio, seguendo la più semplice delle dinamiche di mercato, crolla. Assestandosi addirittura sotto il tetto dei 50 dollari al barile.   

Fare previsioni è difficile, perché sono troppe le variabili che stanno influenzando in questi mesi il prezzo del petrolio: l'Arabia Saudita e il suo disperato tentativo di conservare il primato sul mercato degli idrocarburi; gli altri e bassi dell'economia cinese, le difficoltà dei mercati europei e la ripresa, seppure lenta, degli Stati Uniti. A questo si aggiunge la progressiva svalutazione dell'euro rispetto al dollaro, che fa scendere ancora di più il prezzo del petrolio. Conseguenza ulteriormente enfatizzata dalla scelta di paesi come Russia e Iraq di aumentare la produzione interna per controbilanciare le perdite derivanti dalla contrazione dei ricavi. 

Anticipare le prossime evoluzioni sul mercato del greggio è impossibile. A parità di condizioni, è realistico immaginare che i prezzi continueranno a scendere, anche se a ritmi meno sostenuti perché il consumo di petrolio non è certo destinato ad azzerarsi. 

I problemi di Russia e Venezuela

Molto più facile è individuare chi guadagna e chi no da questa situazione. La Russia è certamente uno dei paesi più svantaggiati. Con un'economia in forti difficoltà e estremamente dipendente dagli introiti del greggio, non può permettersi di tagliare la produzione per far risalire un po' i prezzi perché terrorizzata dalla possibilità che le sue forniture vengano sostituite da quelle di altri produttori in crisi. 

Anche il Venezuela, altro grande esportatore di petrolio, soffre molto per questa situazione, per quanto con un'inflazione al 60 per cento e un'economia sull'orlo della recessione non possa certo accusare la crisi del prezzo del petrolio di essere l'unico o il principale responsabile dei suoi problemi. Per recuperare un po' di liquidità si potrebbero tagliare i sussidi sul greggio, ma tutti ricordano cosa è successo quando, nell''89, il governo di Carlos Andres Perez decise di percorrere questa strada. Con queste premesse, anche il Venezuela sembra destinato a rimanere travolto dalla situazione.

Le ambiguità dell'Arabia Saudita e degli altri paesi Opec

L'Arabia Saudita non rischia nulla fino a quando avrà fondi a sufficienza per coprire le perdite da mancati ricavi (la produzione interna, infatti, da profitto solo se i prezzi del greggio si mantengono al di sopra degli 85 dollari al barile). La speranza è che il mercato si riprenda da solo, e per evitare da un lato che l'America prenda il sopravvento con in suo shale gas, dall'altro per far capire ai membri dell'Opec chi comanda, Riyad non ha nessuna intenzione di tagliare la propria produzione. Anche se sta rischiando molto.  

Emirati Arabi e Kuwait sono in una posizione simile a quella dell'Arabia Saudita perché sono molto ricchi, ma i margini di manovra di paesi come Iran, Iraq e Nigeria sono molto più limitati, e anche questi paesi rischiano di crollare. 

I vantaggi degli Stati Uniti

Gli Stati Uniti, invece, stanno benissimo. La loro economia sta iniziando a riprendersi, quindi necessita di maggiori risorse, cui il paese può finalmente provvedere con relativa autonomia proprio grazie alla rivoluzione dello shale gas, in cui fino a una manciata di mesi fa quasi nessuno aveva creduto. Senza considerare i vantaggi geopolitici di questa vittoria americana, che sono altrettanto se non addirittura più importanti. 

Europa e Asia

Per grandi importatori come India, Cina, Giappone e paesi europei la riduzione del prezzo del greggio dovrebbe essere un vantaggio. E lo sarebbe se solo queste nazioni trovassero la formula magica per far ripartire le rispettive economie. Quindi le opportunità in termini di recupero di competitività ci sono. Resta da vedere chi riuscirà davvero a sfruttarle. 


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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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