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Economia

Perché Uber starebbe copiando la ricetta di Amazon

Cosa si nasconde dietro alle perdite e a un'apparente incapacità di generare profitti

In base ai dati condivisi con Bloomberg, Uber ha perso 2,8 miliardi dollari lo scorso anno. Il dato sarebbe ancora più alto, visto che nel conto non entrano le perdite della divisone cinese venduta lo scorso agosto. Nell’ultimo trimestre del 2016, inoltre, l’azienda ha subito un altro passivo a nove zeri. A quanto pare, Uber ha rastrellato finanziamenti per undici miliardi di dollari e, dunque, fa sapere di possedere sette miliardi e una linea di credito da 2,3 miliardi di dollari, ma se le perdite continuassero allo stesso ritmo, le risorse si esaurirebbero nel giro di pochi mesi. Del resto, fa notare Vox, è dalla sua fondazione nel 2009 che Uber ha bilanci in passivo. 

Punti di contatto

Sotto questo punto di vista, i primi otto anni di vita della società fondata da Travis Kalanick assomigliano molto a quelli dell’esordio di Amazon che, dal 1994 al 2000, ha registrato perdite crescenti e ha incassato molti dubbi sulla sua capacità di generare profitti. Ma la verità è che Amazon ha introdotto un modello di vendita differente rispetto al precedente: invece di costose librerie con commessi pagati su base oraria, Amazon ha puntato su magazzini e sulla rete, abbassando progressivamente il costo per la vendita di libri. Le perdite di Amazon, inoltre, erano legate agli investimenti: nuovi magazzini, nuovi software e nuove categorie di prodotto. Jeff Bezos ha saputo convincere gli investitori che dare la priorità alla crescita rispetto al profitto era la cosa giusta da fare. In quanto azienda privata, non è possibile capire se anche Uber stia perseguendo la medesima strategia, ma è molto possibile che i conti siano gravati da investimenti per lo sviluppo in nuovi mercati e dalla ricerca per auto che si guidano da sole. Scelte strategiche che comprimono i profitti nel breve termine, ma che servono a farli crescere nel lungo periodo. Uber, ricorda il magazine americano, ha introdotto a sua volta tre elementi di rottura nella mobilità cittadina.

Il ruolo della tecnologia 

Il primo è la tecnologia che rende la ricerca di un’auto più facile e offre dei plus inesistenti con i taxi tradizionali, come informazioni anticipate sul costo della corsa e la geolocalizzazione dell’auto. Questi servizi rendono la proposta di Uber particolarmente interessante per chi si deve spostare in città ed è dunque possibile che, invece di cannibalizzare la concorrenza esistente, l’azienda stia allargando il mercato del trasporto urbano. Inoltre, la riduzione del tempo di attesa per i clienti si traduce in un incentivo a utilizzare il servizio e, dalla parte dell’offerta, in una crescita di auto disponibili. Un numero superiore di auto permette ai driver di fare più corse e aumentare i propri incassi. 

L’effetto network

A questo punto, scatta una nuova variabile. Come hanno dimostrato eBay, che è diventato il punto di riferimento per i collezionisti, Craigslist che è la destinazione d’elezione per gli annunci e Etsy che si è imposto come il market place per i prodotti fatti a mano, una volta stabilita la posizione di “facilitatore” fra domanda e offerta, è quasi impossibile per un altro player occupare lo stesso mercato. E’ il cosiddetto “effetto network” che, a sua volta, spiegherebbe perché Uber investe ferocemente per imporsi nei mercati in cui è presente.  

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Guardando avanti

Ma non è tutto. Considerato che il compenso per i driver incide per il 58% della tariffa, è evidente che l’azienda che riuscirà risolvere l’equazione della mobilità robotica potrà far pagare poco ai propri clienti e portare a casa dei sani profitti. Cii sono buone ragioni per credere che le auto che si guidano da sole saranno on demand e possedere un’app per la richiesta di un’auto come quella di proprietà di Uber è un immenso vantaggio strategico nel settore della mobilità autonoma. Anche questo aspetto, dunque, spiega la determinazione dell’azienda nel presidiare diversi aspetti del trasporto cittadino anche a costo di conti in rosso.

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Stefania Medetti

Sociologa e giornalista, ho barattato la quotidianità di Milano per il frenetico divenire dell'Asia. Mi piace conoscere il dietro le quinte, individuare relazioni, interpretare i segnali, captare fenomeni nascenti. È per tutte queste ragioni che oggi faccio quello che molte persone faranno in futuro, cioè usare la tecnologia per lavorare e vivere in qualsiasi angolo del villaggio globale. Immersa in un'estate perenne, mi occupo di economia, tecnologia, bellezza e società. And the world is my home.

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