Telecom Italia, Telefonica e la battaglia per la banda larga
Economia

Telecom Italia, Telefonica e la battaglia per la banda larga

Ipotesi e futuro delle telecomunicazioni in Italia ora che, come previsto da tempo, Telecom finirà in mani straniere

D'accordo è un amaro calice. Ma in realtà l'avevamo bevuto già da molto tempo. Che Telecom Italia finisse nelle mani di azionisti stranieri e in particolare in quelle di Telefonica era scritto fin da quel 2007 in cui venne escogitato il nuovo nocciolino duro, con banche, assicurazioni e Telefonica, una compagnia già più grande e più aggressiva, meglio collocata all'estero e che adesso è almeno il doppio della futura "filiale" italiana. Basta guardare l'andamento di borsa: Telefonica va su è giù, è caduta con la crisi dopo il 2008, si è ripresa, è discesa, risale. La curva di Telecom Italia è in realtà un piano inclinato. Dunque, se non è César Alierta, numero uno del colosso iberico, sarebbe qualcun altro: il faraone Sawiris tirato in ballo da Franco Bernabè (per la verità è sembrato subito un ballon d'essai); Li Ka-shing che con H3G poteva essere  più consistente; adesso si evoca AT&T (portata in dono da Enrico Letta di ritorno a New York?), la stessa considerata imperialista e predatrice anni prima. La battaglia sulla italianità dunque, giusta o sbagliata che sia, è velleitaria e di retroguardia. L'unica che valga la pena combattere, a questo punto, è la battaglia della banda larga.

Non perché Telefonica sia il migliore dei padroni possibili. La soluzione, intanto, pecca ancora una volta dei vecchi vizi: viene fatta intra moenia, all'interno della scatola Telco, con un passaggio di azioni dalle banche al socio industriale, un altro sberleffo per gli azionisti di minoranza (che poi sono la maggioranza degli azionisti perché il patto ha sindacato solo un quinto dei titoli sul mercato). Non solo. La società spagnola è molto indebitata, circa il doppio rispetto a quella italiana, se si dovessero mettere insieme, i debiti finanziari arriverebbero a 100 miliardi di euro, più o meno quello che Vodafone ha intascato vendendo la suo quota in Verizon. Dunque, oltre la Manica abbiamo un gruppo superliquido, lungo le sponde del Mediterraneo due gruppi impiombati dai debiti. Il che fa sorgere subito l'interrogativo malizioso: è solo l'inizio? E se Telefonica finisse poi in mani ben più forti, magari inglesi? Del resto così è andata con Iberia. Alla faccia della hispanidad, quel che conta è il cash. Tanto più nel mondo post crisi, il mondo del deleveraging, cioè del lento e faticoso processo di riduzione dei debiti delle famiglie, delle imprese degli stati.

L'ipotesi è ancora di scuola, ma nient'affatto peregrina. Perché da un anno a questa parte è cominciato il grande risiko delle telecomunicazioni, con la spinta dei Google, dei social media, dei nuovi signori dello spazio informatico; sotto la pressione di prezzi e tariffe in ribasso costante; in risposta alla concorrenza dei giganti che vengono dall'altro mondo, soprattutto dalla Cina. È vero che i valori dei mastodonti orientali si sono ridimensionati (la loro valutazione era spesso politica), ma hanno un numero di clienti enorme. E in questo settore conta la massa critica.

L'Europa è un mercato ricco, il più ricco ancor oggi, e dinamico (nei telefonini lo è stato a lungo ben più del Nord America), ma è diviso tra una infinità di operatori. Negli Stati Uniti si contano sulle dita di una mano, nell'Unione Europa arrivano a una trentina tra grandi e piccoli. Viva la concorrenza? Vero, ma molti di loro sopravvivono a stento grazie a politiche di vero e proprio dumping o al sostegno dello stato e delle banche. Dunque, il grande gioco si sta svolgendo proprio qui, nel vecchio continente. Telecom Italia è una vittima della nuova onda di concentrazione industriale. Non sarà certo l'unica.

A questo punto, che fare? Il governo italiano non può opporsi a questa ineluttabile transizione. Può fare molto, invece, per tutelare gli utenti italiani, i contribuenti (niente salvataggi a nostre spese, per carità) e gli interessi di fondo del sistema paese che ruotano attorno alla necessità di avere servizi moderni, accessibili, al prezzo migliore possibile. L'Italia ha bisogno di una rete a banda larga, estesa ed efficiente, basata più sulle fibre ottiche che sul rame (sta ai tecnici e alle convenienze economiche stabilire il mix tra i due veicoli). Dunque bisogna scorporarla da Telecom? O all'interno di Telecom? Non necessariamente. E' commesso un grave errore quando si è venduta la rete privatizzando la società. Le autostrade, almeno, sono in concessione. E' chiaro che oggi non si può espropriare un asset importante. Quanto ad acquistarla tout court, nessuno ha i denari necessari. Se Telefonica si impegna a investire, bene, si tenga pure l'infrastruttura. Altrimenti, si studi un sistema per separarla, creando una società che si finanzi sul mercato. Letta dovrebbe convocare subito Alierta e mettere i piedi nel piatto. Questo è interesse nazionale. Il resto è nostalgia o propaganda.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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