L’errore dei Piigs
Davanti alla BCE le bandiere di Spagna, Italia, Portogallo e Grecia
Economia

L’errore dei Piigs

La crisi colpisce anche i Paesi emergenti. Che si stanno avvitando in una spirale di austerità

Iniziata nell’estate del 2007, la crisi economica mondiale giunge ora al suo quinto anno, e ancora non se ne vede la fine. Anzi, la novità è che le economie emergenti, che pure avevano continuato a crescere in questi anni, ora temono di essere investite anch’esse dalla recessione, o quanto meno da un sensibile rallentamento. L’epicentro della crisi resta l’Occidente, e in particolare l’area dell’euro, sempre più fragile e soggetta al potere dei mercati finanziari. Mercati che, come si sa, dopo avere preso di mira la Grecia, ora appaiono sempre più severi con paesi come Spagna e Italia, e sempre più indulgenti con la Germania e le altre economie nordiche.

Anche se il disordine dei conti pubblici non è stato ovunque l’elemento che ha scatenato la crisi, resta il fatto che a questo punto, dopo cinque anni di passione, quello dei conti pubblici è diventato il problema numero uno di tutti i paesi in sofferenza. È perché temono di non riavere indietro i propri soldi che gli investitori pretendono tassi di interesse molto alti dai cosiddetti Piigs: Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia, Spagna. Cinque anni sono un periodo abbastanza lungo, che consente già qualche bilancio. Vediamo dunque come, sul versante dei conti pubblici, si sono mossi i paesi dell’eurozona dal 2007 al 2011.

Un primo dato di fondo, comune a tutti e 12 i paesi storici dell’euro, è che il peso della spesa pubblica corrente è aumentato ovunque. Nessun paese, in altre parole, ha reagito alla crisi riducendo la spesa pubblica. In Irlanda, per esempio, nel 2011 il peso della spesa pubblica sul pil è risultato di quasi 7 punti superiore al 2007, in Spagna di quasi 6 punti. Anche la virtuosa Germania ha aumentato il peso della spesa pubblica (+2 per cento), sia pure in misura minore di tutti gli altri paesi.

Quel che conta ai fini dell’equilibrio dei conti pubblici, tuttavia, non è quanto aumenta la spesa, ma in che misura si è in grado di coprire gli aumenti con maggiori entrate. È qui che i comportamenti dei vari paesi divergono sensibilmente. Alcuni (Germania, Austria, Francia, Belgio, Lussemburgo) hanno parzialmente coperto gli aumenti di spesa con una accresciuta pressione fiscale.

Finlandia e Portogallo hanno lasciato la pressione fiscale sostanzialmente invariata, lasciando così «scoperti» gli aumenti di spesa, pari rispettivamente al 5,5 e al 3,1 per cento. Ma i Piigs (tutti eccetto il Portogallo) hanno addirittura diminuito la pressione fiscale, aggravando gli squilibri generati dalle maggiori spese.

La conclusione è abbastanza sconfortante: tutti i Piigs eccetto l’Irlanda si stanno avvitando in una spirale di austerità-recessioneausterità, ma in gran parte si tratta dei medesimi paesi che, fra il 2007 e il 2011, hanno adottato il cocktail più micidiale: maggiori spese e minori tasse.

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Luca Ricolfi