Pensioni: giù le mani
Economia

Pensioni: giù le mani

Dalla legge di stabilità arriva un nuovo colpo alla previdenza. Ma è almeno dal 1996 che i diritti acquisiti vengono continuamente "ritoccati". in peggio

Mettiamo il caso: lo Stato deve recuperare soldi? Di sicuro ci rimettono i pensionati. Se volete un esempio concreto, chi percepiva nel 1995 una pensione mensile di 5 milioni di lire lordi in 18 anni, cioè fino a oggi, ha perso 43 mila euro. È una costante, purtroppo consolidata: dagli anni Novanta in poi, chi ha concluso la vita lavorativa, e vorrebbe godersi la pensione maturata con i propri contributi, ha invece subito le conseguenze negative delle riforme del settore e delle varie leggi finanziarie.

Tutto sulla Legge di Stabilità

L’ennesima conferma viene dalla legge di stabilità approvata martedì 15 ottobre dal Consiglio dei ministri: «peggiorando» quanto era stato stabilito nel dicembre 2012 con la legge di stabilità per il 2013, il governo Letta ha deciso per i prossimi tre anni (e non soltanto per il 2014) di non adeguare al tasso d’inflazione le pensioni oltre i 2.973 euro lordi mensili, cioè quelle pari a sei volte il minimo, che è di 495 euro. Quindi, in parole povere, ancora per qualche anno la categoria dei pensionati perderà altri soldi . Inoltre, anche se nel 2014 (dopo due anni di blocco) l’aggancio all’inflazione riprenderà per le fasce di pensione inferiori, una parte del danno rimarrà comunque per chi incassa da 2.500 a 3 mila euro lordi mensili, il cui adeguamento all’inflazione sarà dimezzato.

Toccare i diritti acquisiti dei pensionati è un’abitudine che viene da lontano. La dettagliata tabella che la Uil pensionati ha elaborato in esclusiva per Panorama (e che noi riportiamo qui ) riassume i tanti cambiamenti intervenuti dal 1996 a oggi, cambiamenti che hanno determinato senza alcun dubbio una perdita di valore soprattutto delle pensioni medie e medio-alte. La storia è lunga. Il collegamento alle retribuzioni e in genere alla dinamica salariale venne cancellato dalla riforma di Giuliano Amato del 1992, quando si stabilì che dal 1994 le pensioni previdenziali e assistenziali sarebbero state adeguate alla variazione dell’indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati.

Contestualmente venne introdotta l’indicizzazione con cadenza annuale. Nel 1996 venne poi fissato un meccanismo di indicizzazione piena per le quote di pensione di importo più basso, e parziale per quelle delle pensioni superiori. Inoltre, come risulta dalla tabella, in alcuni anni le pensioni medio-basse, medie e medio-alte non hanno ricevuto alcuna perequazione. «È sempre la stessa storia» commenta Romano Bellissima, segretario generale della Uil pensionati, «si interviene dov’è più facile. Quando la situazione economica richiede interventi straordinari, questi dovrebbero riguardare tutti i redditi e non solo quelli dei pensionati».

Prima o poi, in effetti, potrebbero venire al pettine i nodi individuati dalla Corte costituzionale con la sentenza 316 del 2010. La pronuncia della Consulta riguardava un ricorso contro la legge finanziaria del dicembre 2007 che aveva introdotto, per il solo anno 2008, il blocco della perequazione per le pensioni di importo superiore a otto volte il minimo. Il ricorso fu respinto, ma la Corte sottolineò due punti fondamentali: è vero che da un lato «la garanzia costituzionale dell’adeguatezza e della proporzionalità della pensione, cui lo strumento della perequazione automatica è certamente finalizzato, incontra il limite delle risorse disponibili»; dall’altro, però, la sospensione a tempo indeterminato della perequazione o «la frequente reiterazione di misure intese a paralizzarla» toccherebbero «gli invalicabili principi di ragionevolezza e proporzionalità» e le pensioni rischierebbero di non essere difese adeguatamente in relazione al potere d’acquisto. Insomma, dissero i giudici, se i governi insistono, prima o poi un problema di costituzionalità si porrà. Un altro dato calcolato dalla Uil pensionati conferma il danno subito nel corso del tempo per effetto della mancata perequazione al 100 per cento dell’inflazione sull’intero importo della pensione.

Negli anni, con il blocco totale dell’adeguamento al costo della vita, la conseguenza è stata eclatante: restando nell’esempio del pensionato con 5 milioni di lire lordi nel 1995, tre anni dopo ha «perso» 1,2 milioni di lire e negli anni 2012 e 2013 complessivamente 4.120 euro. L’esempio può essere proporzionato a tutte le altre fasce di reddito e ripropone un tema di fondo: considerare «privilegiate » pensioni superiori ai 3 mila euro lordi, attualmente 861 mila pensionati, cioè il 5,1 per cento del totale secondo i dati Istat più aggiornati, relativi al 2011. Quelli invece al di sotto dei 1.000 euro lordi sono il 44 per cento. La decisione del governo Letta d’introdurre la rivalutazione del 50 per cento per le pensioni tra i 2.500 e i 3 mila euro lordi si avvicina all’idea di Giuliano Cazzola, responsabile welfare di Scelta civica, deputato ed esperto previdenziale di lungo corso. «Anziché ricorrere al blocco totale» spiega Cazzola a Panorama «l’inserimento di più aliquote comporterebbe una crescita inferiore, ma pur sempre una crescita. Il blocco, invece, può diventare un mezzo rischioso. Il governo sembra cominciare a orientarsi verso questa posizione: sarebbe possibile, per esempio, introdurre un’ulteriore aliquota del 30 per cento per le fasce di reddito più alte».

Piccoli segnali che non modificano il quadro complessivo. Resta la certezza di una lotta all’ultimo sangue, cioè all’ultimo euro. Lunedì 21 ottobre i sindacati pensionati Spi Cgil, Fnp Cisl e Uilp Uil si riuniranno per avviare una mobilitazione nazionale. Tra i mille problemi, sottolinea Bellissima, «c’è quello della rispondenza del paniere Istat utilizzato per calcolare l’inflazione ai reali consumi dei pensionati» e, dopo numerosi incontri con Cgil, Cisl, Istat e Cnel, non si è ancora arrivati a una revisione. Gli anziani, che rappresentano il 20 per cento della popolazione, continuano a essere colpiti nonostante molto spesso svolgano un ruolo di supplenza dello Stato all’interno delle famiglie, come un vero ammortizzatore sociale (con aiuti economici piuttosto che con la cura dei bambini). Sottolinea la Uilp: in Italia la pressione fiscale sui pensionati è tra le più alte d’Europa. Pagano circa un terzo dell’Irpef complessiva. Un dato che spiega più di molte parole.

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Stefano Vespa