E se le casalinghe prendessero lo stipendio?
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Economia

E se le casalinghe prendessero lo stipendio?

Giulia Bongiorno e Michelle Hunziker propongono di versare una "paga" a carico del coniuge o dello Stato per combattere la violenza contro le donne. Ma sarebbe un costo rilevante e forse non utile

Uno stipendio antiviolenza contro le donne. A carico del coniuge, del compagno, o dello Stato. L’hanno messa giù dura, l’avvocato Giulia Bongiorno e la conduttrice Michelle Hunziker. Prima di liquidarla come una provocazione, ragioniamone.

Esiste una correlazione tra maggior reddito e minor violenza sulle donne? Se s’intende causa-effetto, si direbbe di no. Uno studio dell’Università di Harvard attesta che negli anni 90 negli Usa ogni 15 secondi avveniva un’aggressione contro una donna e in Svezia ogni 10 giorni ne moriva una per violenze.

Se per correlazione s’intende un’inferenza, questa c’è: lo dimostrano le spaventevoli percentuali di violenza sulle donne nei paesi meno sviluppati. Ma è un’inferenza pesantemente condizionata da fattori antropologico-culturali, non solo dal reddito. Il reddito femminile abbatte il gender gap? Sì. La Banca Mondiale aggiorna nel tempo un rapporto dedicato al tema, esaminando le diverse politiche per diminuire la "dipendenza" femminile. Sono tre i maggiori fattori che concorrono al fine: la partecipazione femminile al mercato del lavoro; le misure di conciliazione lavoro-famiglia; gli effetti del sistema fiscale. Inevitabilmente, gli economisti si concentrano su misure che ottengano l’effetto della maggior autonomia femminile accrescendo insieme lo sviluppo complessivo. Cioè alzando l’output "ufficiale", rispetto a quello "sommerso" del lavoro casalingo. Quest’ultimo è stato stimato dall’Istat in circa 405 miliardi di euro per i 4,8 milioni di casalinghe italiane, a tutti gli effetti non occupate ma attive per una media di 54-59 ore a settimana, e in altri 50 miliardi se si tiene conto della componente sommersa prestata a casa dalle donne lavoratrici. È più di un quarto del pil italiano. Il che spiega perché tra i paesi avanzati siamo in testa alla graduatoria giornaliera di "lavoro sommerso" familiare e parentale a solo carico femminile.

In Italia la vera priorità è innalzare il tasso di occupazione femminile, al 50 per cento rispetto a una media Ue del 62 e di oltre il 70 nel Nord Europa.
Per fare questo c’è chi pensa (il team di economisti della Voce.info) a sgravi contributivi per sole donne. Ma è più importante riorientare il welfare alla conciliazione dei tempi lavoro-famiglia con più asili nido non solo pubblici ma incentivati fiscalmente nelle aziende, congedi parentali più lunghi come in Francia e Danimarca, flessibilità oraria e telelavoro nei contratti.

Ma un reddito minimo per le donne? Nessun paese al mondo lo prevede, ma è vero che la stragrande maggioranza dei paesi europei offrono, con metodologie diverse, redditi minimi sociali universali, nel Nord Europa con un riguardo a donne giovani e anziane.
Qui la domanda diventa: ha più senso, rispetto alla finanza pubblica italiana, un maxitrasferimento annuo da un punto di pil in reddito minimo, o riorientare analoghe risorse su conciliazione e fisco? Per la crescita, meglio la seconda cosa. Il trasferimento monetario alle donne Hunziker-Bongiorno avrebbe un effetto di crescita assai limitato, contribuendo solo marginalmente a consumi aggiuntivi rispetto alla domanda pubblica, se fosse lo Stato a pagare, o privata, se fosse il compagno. Sarebbe un costo, non una leva. Inevitabilmente pubblico, visto che con un reddito medio ormai inferiore ai 20 mila euro annui e con un Sud di poco superiore alla metà, i maschi davvero avrebbero generalmente poca capienza. Ma una cosa è sicura: o il riorientamento del welfare a favore di donne e famiglia avviene, e in quel caso la violenza speriamo diminuisca sia per maggior indipendenza sia per una diversa cultura, oppure ne parleremo come di un’occasione persa per evitare di diventare tutti anziani ma non si sa da chi mantenuti.

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