Da Micron a LFoundry e il manager salva la fabbrica
Economia

Da Micron a LFoundry e il manager salva la fabbrica

Lo stabilimento americano di Avezzano doveva chiudere con 1600 lavoratori a rischio. Resta aperto grazie all'intervento dei dirigenti italiani che hanno comprato in collaborazione con una società della Bassa Baviera. Creando una nuova multinazionale europea

Quando gli capita di raccontare la sua esperienza degli ultimi 12 mesi, come ha fatto di recente alla Borsa della Ricerca di Bologna, Sergio Galbiati comincia la presentazione con una veloce rassegna delle intelligenze possibili, da quella “disciplinata” a quella “etica”. Non sono mai presenti in un solo individuo, ma si possono raccogliere in un team. E’ quello che ha provato ed è riuscito a fare lui per salvare l’azienda nella quale lavorava, la Micron di Avezzano, dalla chiusura. Un anno fa la multinazionale americana, tra le prime 10 al mondo nella produzione di microchip, aveva deciso che lo stabilimento abruzzese non era più strategico: 1623 posti di lavoro a rischio. Una mazzata per il territorio già provato dalle conseguenze del terremoto. Un anno dopo Avezzano è il centro di un’operazione di respiro europeo condotta con i tedeschi di LFoundry, quartier generale a Landshut in Bassa Baviera. Un esempio di collaborazione bel lontano dagli screzi politici con Frau Merkel. Qualche quotidiano locale ha titolato: i tedeschi comprano Micron. Ma le cose non stanno proprio così.

Racconta Galbiati, un fisico diventato manager, ex country manager di Micron Italia e ora amministratore delegato di LFoundry. “Ad un certo punto ho dovuto decidere da che parte stare. Potevo restare con il mio datore di lavoro oppure scegliere di puntare sull’Italia. Così ho deciso di assumermi la responsabilità di affrontare la sfida e cogliere l’opportunità”. Che cosa ha fatto concretamente? Ha rilevato lo stabilimento dalla multinazionale americana, con una nuova società: la Marsica Innovation Technology (MIT). Ha fatto, come si dice in gergo, management buy out e lo ha fatto coinvolgendo nell’operazione la tedesca LFoudry, che aveva dimensioni più piccole. La MIT è attualmente controllata da Galbiati con il collega Riccardo Martorelli, ma a regime (entro il maggio 2015) il 20% sarà del management e il 20% dei dipendenti. "Il caso Micron dimostra che nel nostro Paese ci sono risorse e competenze che vogliono continuare a impegnarsi in attività industriali ad elevata innovazione tecnologica”, dice il sottosegretario allo Sviluppo Economico Claudio De Vincenti. E, dettaglio non irrilevante, che lo fanno in una nuova dimensione continentale. “Dobbiamo imparare a competere come sistema”, spiega Galbiati. “Il nostro successo o insuccesso,  il futuro di questa nuova realta’ industriale  è sempre piu’ legato a doppio filo con quello del nostro  territorio e del nostro Paese. Il goal è da adesso in poi".

Entro giugno sarà definita la joint venture con i tedeschi, dove la società italiana manterrà un ruolo importante, e verrà concluso un prestito di 45 milioni di euro dalla Cassa Depositi e Prestiti per il programma di ricerca. Salvato lo stabilimento e buona parte dell’occupazione c’è da gestire una fase di transizione che prevede il ricorso alla cassa integrazione. E a chi non ne è toccato, manager compresi, è stata chiesta una riduzione degli stipendi e dei costi di trasferta. Nella vita delle aziende, dice Galbiati, ci sono momenti (gli inflection point) in cui le scelte sono decisive. Lui per farle si ispira all’equilibrio di John Nash, il matematico la cui vita è stata raccontata nel film “A beautiful mind”: “Il miglior risultato si ottiene quando ogni componente del gruppo fara’ cio’ che e’ meglio per se’ e per il gruppo”. 

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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