Maurizio Tamagnini’s list: le 111 aziende da comprare in Italia
Economia

Maurizio Tamagnini’s list: le 111 aziende da comprare in Italia

Il banchiere ex Merrill Lynch guida il Fondo strategico della Cassa depositi e prestiti e vuole creare una squadra di campioni

Quando il proprietario di una media impresa italiana si presenta al cospetto di Maurizio Tamagnini per discutere dell’eventuale ingresso del Fondo strategico italiano (Fsi, controllato dalla Cassa depositi e prestiti) nel suo capitale, nota subito una cosa: Tamagnini non è il solito banchiere d’affari. È molto peggio. Nota, per esempio, che la sua simpatia travolgente nasconde una riservatezza da banchiere svizzero. Per di più muto. Poi nota due occhi irrequieti che pongono domande prima ancora che le labbra siano riuscite a pronunciarle. E, infine, nota un accento che non è quello tipico della maggior parte dei banchieri.

Maurizio Tamagnini, milanista non milanese (è romagnolo), è il più riservato dei banchieri riservati. È entrato in Merrill Lynch 21 anni fa scalando piano piano tutti i gradini, fino a diventare capo della sede italiana (e fin qui non è molto diverso da altri self-made banker), ma poi è riuscito a resistere alla concorrenza degli squali americani quando la sua banca si fuse con la Bank of America, rimanendone il capo e diventando il consigliere più ascoltato dei colossi internazionali.

Come ha fatto? «Ha un segreto: lavora». Ad accorgersi di questo particolare è stato Vittorio Grilli, attuale viceministro dell’Economia, che quando era direttore generale del ministero con Giulio Tremonti lo ha voluto alla guida dell’Fsi, gli ha dato 4 miliardi in mano con l’obiettivo di spenderli per entrare in minoranza nelle medie imprese italiane che fossero sane, in crescita e con un gran bisogno di internazionalizzarsi.

È un mestiere che dovrebbero fare i fondi d’investimento o le banche appena un po’ illuminate, ma siccome in Italia latitano sia i primi che le seconde, ci deve pensare Tamagnini, che ha concluso in appena 4 mesi ben tre operazioni: Avio (aerospazio), Metroweb (telecomunicazioni) e Kedrion  (farmaceutica), per un totale investito di 1 miliardo. E adesso ha stilato la sua personale lista di potenziali target: la Tamagnini’s list, un elenco di 111 società con le caratteristiche giuste per diventare campioni nazionali nei rispettivi settori.

C’è un’altra operazione della quale Tamagnini, nato a Coriano, sulle colline forlivesi (il cui accento non lo ha mai abbandonato), va orgoglioso. La ritiene il suo capolavoro: essere riuscito a salvare e poi a finanziare con l’obolo di alcuni amici un ospedale pediatrico in Africa.

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Marco Cobianchi

Sono nato, del tutto casualmente, a Milano, ma a 3 anni sono tornato a casa, tra Rimini e Forlì e a 6 avevo già deciso che avrei fatto il giornalista. Ho scritto un po' di libri di economia tra i quali Bluff (Orme, 2009),  Mani Bucate (Chiarelettere 2011), Nati corrotti (Chiarelettere, 2012) e, l'ultimo, American Dream-Così Marchionne ha salvato la Chrysler e ucciso la Fiat (Chiarelettere, 2014), un'inchiesta sugli ultimi 10 anni della casa torinese. Nel 2012 ho ideato e condotto su Rai2 Num3r1, la prima trasmissione tv basata sul data journalism applicato ai temi di economia. Penso che nei testi dei Nomadi, di Guccini e di Bennato ci sia la summa filosofico-esistenziale dell'homo erectus. Leggo solo saggi perché i romanzi sono frutto della fantasia e la poesia, tranne quella immortale di Leopardi, mi annoia da morire. Sono sposato e, grazie alla fattiva collaborazione di mia moglie, sono papà di Valeria e Nicolò secondo i quali, a 47 anni, uno è già old economy.

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