Il Canada scopre il bluff di Marchionne
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Economia

Il Canada scopre il bluff di Marchionne

Mentre in Europa il mercato regala qualche segnale positivo, il capo della Fiat-Chrysler dall'altra parte dell'Oceano chiede aiuti di stato. Scoppia la polemica e il manager fa retromarcia

Continua la ripresa del mercato dell'auto (a febbraio i 28 Paesi UE hanno immatricolato l'8% di veicoli in più di un anno fa) e Fiat in Europa tira una parziale boccata di ossigeno con un +5,6% (+1,6% da inizio anno) nonostante una quota di mercato ancora in flessione al 6,7% dal 6,9% di un anno fa. Dall'altra parte dell'Oceano, invece, Sergio Marchionne, deve fare i conti con polemiche relative alla richiesta di nuovi aiuti di Stato. Dove? In Canada, come racconta questo articolo pubblicato sul numero di Panorama in edicola nella settimana del 13 marzo.

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Nessuno, si sa, è profeta in patria. Nemmeno quando le patrie sono due. La conferma arriva da Windsor, città dell’auto canadese ma anche sede dell’università dove Sergio Marchionne, numero uno di Fiat e di Chrysler, ha conseguito il suo Mba in legge e dove torna volentieri per lezioni e conferenze. I piani di Chrysler prevedono massicci investimenti, nell’ordine di 3,4 miliardi di dollari, per sviluppare e produrre nell’impianto di Windsor e in quello di Brampton un nuovo minivan e altri veicoli. Una manna per una regione, l’Ontario, che ha perduto dal 2000 nove stabilimenti dell’auto e che nel 2016 assisterà alla chiusura di una fabbrica General Motors.

Ma quando Marchionne ha sollecitato aiuti di stato (700 milioni di dollari) dal Canada per allineare (o quasi) il costo dell’investimento agli incentivi del Messico o di vari stati degli Usa, è scoppiata una violenta polemica. Il leader dei conservatori locali Tom Hudak è insorto, facendo del dossier Chrysler un’arma d’attacco in vista delle prossime elezioni dell’Ontario. "Usiamo i soldi pubblici per ridurre le tasse" ha attaccato "non per foraggiare il corporate welfare a vantaggio delle grandi aziende". Soprattutto se salvate, come nel caso di Chrysler, con il denaro pubblico: nel 2009 il governo canadese contribuì per il 17 per cento al salvataggio dell’azienda di Detroit. Il sindacato, per parte sua, si è dimostrato più comprensivo, ma ha contestato la tesi aziendale per cui i salari canadesi sarebbero i più alti del mondo.

Insomma, l’Ontario è più vicino all’Italia di quanto non sospettasse Marchionne che ha reagito a modo suo. "Rinunciamo agli aiuti pubblici" ha detto. "Faremo da soli perché la nostra richiesta è diventata un political football". Ma la partita non è finita qui. "La Chrysler" spiega l’analista dell’auto Tom Faria "insiste su Windsor perché, nel breve termine, non ha alternative. Ma non ha preso impegni per il futuro". Ovvero, senza gli incentivi che potrebbero arrivare dopo la battaglia elettorale, il minivan potrebbe far rotta verso sud. E "Fabbrica Canada" fare la fine della vecchia "Fabbrica Italia".

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Ugo Bertone