Janet Yellen, la signora del dollaro
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Economia

Janet Yellen, la signora del dollaro

L’enigma della bolla è la croce che la presidente della Federal Reserve porta sulle sue spalle

Nella montagna di grafici, tabelle, rapporti che affastellano la scrivania di Janet Yellen spicca la prima pagina del Financial Times sulla quale campeggia a caratteri cubitali: «La Cina e gli Stati Uniti sollevano l’economia mondiale». Una buona notizia, apparentemente, in realtà è la croce che la prima donna presidente della Federal reserve porta sulle sue spalle. Cina e Usa sono i soli motori della crescita, esattamente come è avvenuto negli ultimi 15 anni. Pechino continua a comperare i titoli americani grazie alla bilancia estera in attivo che fa affluire montagne di dollari, Washington torna a indebitarsi per alimentare il mercato interno. Insomma, lo stesso rapporto perverso che ha generato la grande crisi del 2008. Con una variante peggiorativa: per affrontare la crisi gli Usa hanno portato il debito pubblico al 100 per cento del prodotto lordo, quindi non c’è spazio per un sostegno attraverso il bilancio federale.

È un dilemma ben più complicato rispetto al «tapering», l’aumento progressivo dei tassi di interesse che deve accompagnare il ritorno allo sviluppo. Se rincara il denaro, il dollaro si rafforza e il deficit con l’estero americano peggiora. Ma se la moneta resta tanto abbondante e a buon mercato, si crea una bolla destinata a provocare una deflagrazione peggiore rispetto a quella di sei anni fa. Per quanto tempo la banca centrale deve gettare moneta dall’elicottero, secondo la battuta di Milton Friedman? Il presidente uscente Ben Bernanke ha fissato il punto di svolta nel momento in cui il tasso di disoccupazione sarà arrivato al 6,5 per cento (il 2013 si chiude al 7 per cento). Il prodotto lordo a quel punto si sarà avvicinato a una crescita di 3 punti, una soglia considerata solida. Anche questa, però, è una scommessa. Janet Yellen è un’economista molto preparata, moglie tra l’altro del premio Nobel George Akerlof, ma più che dall’econometria dovrà farsi aiutare dalla nasometria, che si basa sull’intuito, l’esperienza, la velocità di reazione. Perché quella del banchiere centrale è un’arte, come scrisse Ralph Hawtrey nel 1932, un periodo che assomiglia molto a quello che stiamo vivendo.

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Stefano Cingolani

Stefano Cingolani, nasce l'8/12/1949 a Recanati e il borgo selvaggio lo segna per il resto della vita. Emigra a Roma dove studia filosofia ed economia, finendo a fare il giornalista. Esordisce nella stampa comunista, un lungo periodo all'Unità, poi entra nella stampa dei padroni. Al Mondo e al Corriere della Sera per sedici lunghi anni: Milano, New York, capo redattore esteri, corrispondente a Parigi dove fa in tempo a celebrare le magnifiche sorti e progressive dell'anno Duemila.

Con il passaggio del secolo, avendo già cambiato moglie, non gli resta che cambiare lavoro. Si lancia così in avventure senza rete; l'ultima delle quali al Riformista. Collabora regolarmente a Panorama, poi arriva Giuliano Ferrara e comincia la quarta vita professionale con il Foglio. A parte il lavoro, c'è la scrittura. Così, aggiunge ai primi due libri pubblicati ("Le grandi famiglie del capitalismo italiano", nel 1991 e "Guerre di mercato" nel 2001 sempre con Laterza) anche "Bolle, balle e sfere di cristallo" (Bompiani, 2011). Mentre si consuma per un volumetto sulla Fiat (poteva mancare?), arrivano Facebook, @scingolo su Twitter, il blog www.cingolo.it dove ospita opinioni fresche, articoli conservati, analisi ponderate e studi laboriosi, foto, grafici, piaceri e dispiaceri. E non è finita qui.

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