E se l’Italia fosse diventata terra di conquista per gli stranieri?
Economia

E se l’Italia fosse diventata terra di conquista per gli stranieri?

Parmalat, Bulgari, Avio e Marazzi sono le più recenti acquisizioni di aziende italiane da parte di stranieri, alle quali potrebbe aggiungersi Ansaldo Energia. Il «Wall Street Journal» si è chiesto se l’Italia sia diventata terreno di caccia, ora che la crisi ha indebolito la struttura finanziaria delle imprese.

Secondo il quotidiano americano Wall Street Journal, l’Italia è ormai terra di conquista delle grandi multinazionali straniere. A sostegno di questa posizione, vengono citate le recenti acquisizioni dell’Avio Aeronautica da parte della General Electric e della Marazzi a opera della Mohawk.

Ha ragione il quotidiano newyorkese? Direi di sì. Negli ultimi due anni abbiamo assistito a un’autentica ondata di acquisizioni dei nostri gioielli industriali a opera di società straniere a cui purtroppo non si accompagna un’analoga verve da parte delle nostre imprese. Un dato per tutti: le acquisizioni «Italia su Italia» e «Italia su estero» delle imprese dello Stivale si sono rivelate pari, in valore, quasi alla metà delle operazioni fatte da investitori stranieri in Italia.

In molti diranno che si tratta di un fatto positivo: lo shopping straniero dimostra ancora una volta la competitività del nostro sistema industriale e si traduce nell’immissione di risorse finanziarie nel sistema. Non sono d’accordo. Occorre, infatti, fare riferimento alla natura degli investimenti stranieri in Italia: osservo, in particolare, che quasi mai si tratta di operazioni «prato verde» mentre, invece, viene fatta incetta di imprese in possesso di know-how eccellente. Risultato: i centri decisionali si spostano fuori dall’Italia e il valore aggiunto prodotto (a seguito dei nuovi investimenti) non è comparabile a quanto deriverebbe da operazioni che partono ex novo in nome dell’attrattività del sistema Italia. Non possiamo del resto sorprenderci:
secondo la Banca mondiale l’Italia è al 73° posto al mondo per facilità di «fare impresa».

Insomma, se, da un lato, questo shopping straniero ci lusinga, dall’altro, la natura degli investimenti effettuati evidenzia un rischio di impoverimento del nostro sistema industriale e, ancora una volta, il problema sta nelle difficili condizioni create a chi vuole fare business in Italia. Speriamo che in questa campagna elettorale qualcuno ne tenga conto: tecnici, ex tecnici e politici di professione, che sono chiamati a plasmare il futuro del Bel Paese.

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Giuliano Noci

Giuliano Noci è docente di marketing al Politecnico di Milano

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