In Italia le tasse sul lavoro si mangiano metà salario
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Economia

In Italia le tasse sul lavoro si mangiano metà salario

I risultati di un’indagine europea che considera anche l’impatto dell’iva. Per rientrare nella media Ue, il cuneo fiscale italiano dovrebbe diminuire di 7 punti percentuali

Subito dopo i dossier Imu e cassa integrazione, il governo dovrà affrontare quella che in molti, a partire dalla Confindustria, considerano l’emergenza più importante: ridurre il cuneo fiscale, ovvero la differenza tra quanto un’impresa versa per un lavoratore e quanto quest’ultimo si mette materialmente in tasca. Del resto, abbassare le imposte sul lavoro sarebbe la classica fava con cui si prendono due piccioni: restituire un po’ di potere
di acquisto ai lavoratori e abbassare i costi per le imprese. Ma quanto margine di manovra avrà Enrico Letta?

Sulla carta lo spazio c’è, perché il cuneo fiscale in Italia è tra i più alti d’Europa: per ogni euro di stipendio netto che incassa un dipendente italiano l’azienda ne spende 1,9. Peccato però che alcuni paesi vicini (come Austria, Francia e Germania) si trovino in una situazione abbastanza simile alla nostra, il che prova quanto il welfare abbia raggiunto in Europa un peso quasi insostenibile.

Veniamo ai dati: la fondazione belga New Direction, un centro studi di area liberale creato nel 2010 a Bruxelles, svolge ogni anno un’indagine su dati della Ernst & Young per stabilire quanto incide la tassazione sul lavoro nei 27 membri dell’Unione Europea. Oltre a considerare le voci classiche, come tasse e oneri sociali e previdenziali, i ricercatori della fondazione inseriscono nel conteggio l’iva su un terzo dello stipendio netto, quello che si ritiene venga destinato ai consumi: in pratica, misurano l’intera tassazione che grava sulla retribuzione, anche quando viene spesa, identificando così il «tasso reale di imposizione fiscale» (real tax rate) sul lavoro. Risultato: in Italia uno stipendio medio è tassato al 52,1 per cento, 7 punti in più  rispetto alla media europea (45 per cento).

Stanno molto meglio di noi, tra i grandi paesi, il Regno Unito con un tasso del 36 per cento, la Spagna con il 44, la Svezia con il 47. Mentre sono ancora più esosi di noi (anche se offrono servizi pubblici migliori) il Belgio con il 60 per cento di imposizione fiscale, la Francia con il 56, la Germania con il 53.

«Una riduzione del cuneo fiscale sarebbe utile soprattutto per rilanciare i consumi» commenta Donato Iacovone, amministratore delegato della Ernst & Young Italia, «mentre ritengo che per le imprese la vera emergenza sia correggere la legge Fornero per aumentare le flessibilità in entrata e in uscita».

Di fronte all’obiezione che paesi come l’Italia avrebbero difficoltà a ridurre le tasse, la risposta di Iacovone è netta: «Occorre ridurre le spese, che spesso non corrispondono a servizi utili per i cittadini».

Nel suo studio, la fondazione New Direction indica anche quando cade, in ciascun paese, il «tax liberation day», cioè il giorno fino al quale ogni soldo guadagnato va al fisco. Nel 2013 il tax liberation day degli italiani sarà il 10 luglio, un mese dopo gli spagnoli, due mesi dopo gli inglesi. Ma anche tre giorni prima dei tedeschi. Tiè. (G.F.)

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