Il Grana Padano tra imitazioni e successo
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Economia

Il Grana Padano tra imitazioni e successo

Oltre a vedersela con il "Rami padano" turco o il "Grana Parrano" olandese, il consorzio deve combattere anche in casa contro gli imitatori. Eppure l’export del formaggio è aumentato lo scorso anno del 6,4 per cento

I russi lo gradiscono soprattutto in pezzi, all’ora dell’aperitivo, e lo comprano nei grandi store di Mosca, Volgograd, San Pietroburgo, a un prezzo triplo che in Italia. I giapponesi hanno iniziato ad aggiungerlo nelle loro ricette, mentre in Germania, Usa, Svizzera e Francia lo mangiano ormai in tutti i modi. Il Grana Padano dop è una di quelle eccellenze made in Italy che non conosce crisi, e a parlare sono i numeri: consolidata la sua presenza nei mercati di Europa e Nordamerica, sta conquistando Russia e Giappone, dove le esportazioni crescono al ritmo di due cifre (l’anno scorso in Russia hanno segnato più 25 per cento).

Ma la tendenza è confermata in tutti i paesi: l’export di Grana Padano, che resta il prodotto dop più consumato al mondo, a livello globale ha fatto registrare nel 2013 un più 6,4 per cento, riuscendo ampiamente a controbilanciare la lieve caduta della richiesta interna (-1 per cento). "Dei circa 4,6 milioni di forme prodotte lo scorso anno, poco più di 1 milione e mezzo sono andate fuori dai confini italiani, principalmente in Germania (dove finisce più del 20 per cento di quelle esportate, ndr) e Stati Uniti" spiega il presidente del consorzio Grana Padano, Nicola Cesare Baldrighi. Si tratta del 34,1 per cento della produzione. Ma l’obiettivo è di espandersi ancora, soprattutto sul ricco e sterminato mercato russo, dove il formaggio tricolore è collocato nella fascia medio-alta (negli storici magazzini Gum il prezzo di vendita al pubblico è di circa 27 euro per chilo, contro i 12,90 euro di media italiana).

Restano poi il Giappone e la non facile sfida cinese, tutta da giocare. Come tutta da combattere è la battaglia contro la contraffazione, che sottrae ricavi ai produttori per 1 miliardo di euro all’anno (il 33 per cento di tutto il fatturato al consumo), di cui 300 milioni qui in Italia. A danneggiare i produttori del consorzio non ci sono infatti solo i "finti" Grana, come il "Rami padano" turco o il "Grana Parrano" olandese, che circolano sulle piazze estere e sono spesso oggetto di sequestri, ma la concorrenza sleale, legalissima, nel nostro Paese dei cosiddetti "similgrana", che ricordano nell’aspetto il celebre dop.

"Hanno nomi evocativi come Grangusto o Gransapore e prezzi più bassi. Il consumatore li percepisce come una seconda linea di Grana e li acquista, spinto dall’esigenza di risparmiare. Quello che non sa" prosegue Baldrighi "è che nella maggior parte dei casi si tratta di formaggi prodotti nell’Est Europa con materie prime estere di qualità inferiore". In etichetta, chi acquista trova solo il nome del luogo di confezionamento, che è spesso dentro i confini nazionali. Nel 2010 ci aveva provato il ministro dell’Agricoltura Luca Zaia a emettere un decreto ministeriale che imponesse la definizione di origine delle materie prime, ma Bruxelles bocciò sul nascere l’iniziativa. La battaglia dei produttori continua.

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