Euro-salvezza, le cinque pedine da poter muovere per uscire dalla crisi nei dieci giorni più caldi per l'Eurozona
Economia

Euro-salvezza, le cinque pedine da poter muovere per uscire dalla crisi nei dieci giorni più caldi per l'Eurozona

Archiviato il G20, è corsa contro il tempo per la moneta unica. Ecco le ipotesi in campo

Dieci giorni per salvare l’euro. Non uno di più. È stato Mario Monti, il premier italiano, da Los Cabos, a far partire il cronometro contro la nuova escalation della crisi sovrana. Ha promesso che verranno assunte misure in tempi brevi: un piano per la crescita in tempo, per il vertice europeo di fine giugno. E gli economisti interpellati da Panorama.it ci credono.

I cinque pilastri su cui basare una poltiica del rilancio e su cui il premier italiano può far leva per superare la fase di stallo in così poco tempo sono:
- uso del Fondo salvastati per acquistare titoli di Stato italiani (come suggerito a Los Cabos)
- avvio del consolidamento fiscale
- creazione di strumenti di condivisione del debito dei singoli Paesi
- creazione di un'unione bancaria
- trasformazione della Bce in "prestatore di ultima istanza.

In tre parole: tutto di più, pur di sbloccare l'empasse. Prima che per l’euro e per tutti noi sia troppo tardi.

Il conto alla rovescia è partito. Archiviate le consultazioni del G20, ora è il momento di agire. Il New York Times l’ha detto chiaro e tondo: pur riconoscendo le buone intenzioni dei leader europei, quella del vertice in Messico per il quotidiano americano è stata un’altra occasione mancata, dalle promesse generalizzate. Eppure dietro le quinte, questa volta la storia potrebbe raccontare una verità diversa.

Nelle ultime ore è, infatti, emerso che lo schema cui starebbero lavorando non è il salvataggio toccato alla Grecia: si punta ad allentare la pressione degli spread su Spagna e Italia e a permettere ai due Paesi di proseguire sulla strada delle riforme. Per questo i leader si sarebbero accordati per consentire ai fondi di salvataggio di intervenire direttamente sul mercato dei capitali per allentare le tensioni su Roma e Madrid.

Se venerdì 22 giugno, fra due giorni, Monti convincerà nell’incontro di Roma, a cui sono attesi anche il presidente francese Francois Hollande e il premier spagnolo Mariano Rajoy, la cancelliera Angela Merkel, questo sarà il primo asso da calare sul tavolo a fine mese a Bruxelles contro i falchi della speculazione. Lo riconosce Nicolais Doisy economista di Cheuvreux da Parigi.

“Se i paesi europei troveranno la quadra per permettere all'Efsf, e al suo successore, l'Esm, di agire in qualità di acquirenti del debito dei paesi della zona euro sotto pressione, sarebbe un bel passo avanti”. Per lui “sarebbe il primo verso gli Eurobond: potrebbe poi evolvere nella forma del fondo europeo delle redemption, ossia far assumere il debito in eccesso di Paesi sovra-indebitati ai fondi europei”.

Un’idea che trova la sponda anche di Nick Kounis, alla guida del team di macroeconomia di Abn Amro ad Amsterdam, convinto che, al di là delle difficoltà intrinseche della Spagna o dell’Italia di turno, sia arrivato il momento di assumere un approccio che consideri l’Unione europea nella sua interezza. Come dire: è essenziale promuovere soluzioni di ampio respiro.

Considerazioni, a cui Fabio Fois, economista di Barclays va oltre, osservando che “l’indicazione più importante attesa sarebbe quella di disegnare una chiara road map della fiscal consolidation”.“Non serve necessariamente annunciare gli Eurobond, sarebbe già positivo far emergere un'unità di intenti, che prima o poi si arrivi a una soluzione chiara e comprensibile, che possa essere agilmente monitorata dai mercati finanziari”, argomenta l’esperto basato a Londra, che non esclude "possano dare via libera ai project bond e iniziare a dire qualcosa sull’unione bancaria".

“Questo per eliminare il rischio di ridenominazione del capitale, che oggi limita l’afflusso di nuovi investimenti, in particolare nelle economie periferiche dell'area euro”. Certo se la situazione dovesse diventare critica, avverte Luca Fantacci, che insegna scenari economici internazionali all'Università Bocconi, potrebbe venire chiamata direttamente in causa la Bce. “Permetterle di intervenire in maniera più decisa per rinsaldare la fiducia sarebbe la soluzione più immediata, ma anche la più difficile da fare digerire alla Merkel”, è il succo del discorso del professore, che ricorda come la politica sia fatta però di molta opera di persuasione.

Guarda caso proprio il terreno su cui Monti, che si trova a ricostruire la credibilità di un’Europa sempre più in difficoltà, sta lavorando: con Hollande continuerà ad agire di fioretto. La causa è buona, la posta in gioco altissima, le opzioni nella sua manica tante. L’imperativo, quello resta sempre e solo uno: qui non si può fallire.

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Micaela Osella