Amazon, Google, Facebook, Starbucks e i trucchi per non pagare le tasse
Economia

Amazon, Google, Facebook, Starbucks e i trucchi per non pagare le tasse

Un'inchiesta del Guardian mostra come si può evadere il fisco legalmente

Come è possibile che nel Regno Unito colossi come Google, Facebook, Amazon, o Starbucks si ritrovino a pagare "appena" trenta milioni di sterline di tasse quando i profitti derivanti dalle vendite superano i tre miliardi? Da quando i dati sui versamenti fiscali effettuati dalle multinazionali a stelle e strisce sono diventati pubblici, questa domanda se la sono posta in molti. E qualcuno ha iniziato a indagare

Che le aziende siano alla costante ricerca di espedienti per pagare meno tasse possibili non è una novità. Ma in questo caso ciò che bisogna capire è se (ed eventualmente perché) alle multinazionali siano riservati trattamenti preferenziali rispetto agli operatori nazionali. Due inchieste parallele portate avanti da Guardian e Reuters hanno dimostrato che esistono aziende, come Starbucks, che pur continuando, anche in tempi di crisi, a registrare fatturati miliardari, pagano al fisco cifre irrisorie. Otto milioni di sterline in 14 anni di attività per Starbucks, la seconda più grande catena di ristorazione al mondo, a fronte di incassi che hanno superato i tre miliardi. Niente in confronto a McDonald's o Kentucky Fried Chicken, che solo nel 2011 hanno pagato, rispettivamente, 80 e 36 milioni di sterline su entrate di tre miliardi e mezzo e un miliardo e cento milioni.

Se Starbucks resta certamente la meno virtuosa, non sono da meno Google, che nel 2010 su un giro d'affari di 240 milioni di sterline ne ha pagati solo 5 di tasse, o Amazon (147 milioni e 517mila) e Facebook (15,2 milioni e 396mila). Apple nello stesso anno ha fatturato nel Regno Unito poco meno di 69 milioni di sterline, e ne ha pagati "addirittura" sei di tasse. Walmart duecento milioni, partendo da un incasso di oltre venti miliardi.

C'è chi l'ha definita un' "evasione legalizzata" che non fa che arricchire i potenti riducendo le opportunità di business per i piccoli operatori nazionali, e chi, come il Guardian, ha fatto molta attenzione a evitare di accusare i colossi d'oltre oceano di frode, ma, numeri alla mano, ha sollecitato il governo inglese a riformare il prima possibile il sistema fiscale nazionale, per evitare che questo "scempio" possa continuare ancora a lungo.

Alle multinazionali basta riuscire a dimostrare di essere in passivo per poter evitare di pagare le tasse. Perché una legge pensata proprio per attirare capitali dall'estero e rendere conveniente il loro consolidamento in Inghilterra fa sì che le aziende straniere possano essere tassate solo per i profitti generati nel Regno Unito. Lasciando che gli altri vengano "gestiti" tramite gli accordi di doppia tassazione che Londra ha firmato con moltissime nazioni.

Un modello ben bilanciato di cui, però, qualcuno approfitta in maniera ben poco corretta. Starbucks, ad esempio, paga ogni anno a una diversa divisione del medesimo gruppo una somma elevatissima per ottenere "il diritto a utilizzare il marchio nel Regno Unito", una pratica che permette loro di dichiarare di sostenere ogni anno costi altissimi e conseguenti perdite. Situazione che, legalmente, permette loro di essere esonerati dal pagamento delle imposte.

Guardian e Reuters hanno sottolineato che la frequenza con cui i gruppi americani decidono di pagare parcelle da capogiro a commercialisti e avvocati per farsi aiutare a sfruttare le scappatoie che il regime fiscale inglese offre loro per non pagare le tasse porta a pensare che questa pratica possa essere diffusa anche in altri paesi. Mettendo indirettamente in guardia governi vicini e lontani. Stati Uniti inclusi, dopo che il Wall Street Journal ha scoperto che molte multinazionali chiedono al fisco americano di ritardare il versamento delle imposte sui guadagni realizzati all'estero fino al momento in cui questi ultimi non sono stati effettivamente rimpatriati…

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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