Nigeria, il business del petrolio in mano alle donne
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Economia

Nigeria, il business del petrolio in mano alle donne

Amy Jadesimi, Catherine Uju Ifejika, Winihin Ayuli-Jemide. Hanno scalato il potere in un Paese dove le donne sono relegate a ruoli subalterni

Non stupirà nessuno il fatto che l'industria petrolifera africana sia pressoché interamente in mano a imprenditori di sesso maschile. Nella maggior parte dei Paesi del Continente Nero le strutture sociali sono ancora fortemente legate a tradizioni che relegano le donna ad un ruolo subalterno ed è quasi impensabile che possano assurgere a posizioni di rilievo e trattare alla pari con i loro colleghi uomini o, addirittura, avere dei subalterni maschi. Con qualche eccezione.

L'anomalia nigeriana

Una di queste è l'industria del petrolio nigeriano. A partire dalla compagine di governo: i due Ministeri che si occupano di risorse petrolifere e di finanza, infatti, sono gestiti da donne. Scelte non perché era obbligatorio applicare quote di genere, in stile occidentale, ma perché competenti e perché appartenenti ai circoli politici più influenti del Paese. Un volano importantissimo per aprire la strada alle donne anche in seno alle grandi imprese petrolifere che controllano la risorsa più preziosa del Paese. La Nigeria, infatti, appartiene all'esclusivo club dei Paesi estrattori, con una produzione pari a ben due milioni e mezzo di barili al giorno.

Donne imprenditrici

Qualche imprenditrice sta già ottenendo risultati importanti. Qualche esempio? Il più significativo è quello di Amy Jadesimi, l'amministratore delegato di Ladol, una società di servizi petroliferi con sede a Lagos. Trentenne, ex analista di Goldman Sachs con un dottorato incorniciato alle spalle della scrivania, ha realizzato un progetto per la trasformazione di una palude bonificata in un impianto portuale da trecento milioni di dollari, che fornisce supporto logistico alle operazioni di trivellazione offshore. Ora nel sito si provvede alla riparazione e alla manutenzione delle navi, nonché ad attività ingegneristiche e di costruzioni; presto verranno realizzati nuovi investimenti per un miliardo di dollari, ottenuti grazie al successo delle attività già avviate.  Alla BBC, Amy Jadesimi ha dichiarato che "le donne si stanno finalmente convincendo che possono raggiungere i vertici della società", anche se è consapevole di cosa significhi per i suoi dipendenti "avere una donna, una donna nera africana, al posto di comando". Amy Jadesimi non è sola: ci sono anche Catherine Uju Ifejika, che dalla poltrona di commando del Britannia U Group ha acquisito un sito estrattivo con riserve pari a quattro milioni di dollari, Winihin Ayuli-Jemide, che si occupa di assistenza legale alle imprese, e molte altre.

Sinora, le donne nigeriane con spirito imprenditoriale dovevano accontentarsi di operare nell'enorme sottobosco dell'economia informale, come la produzione di maglieria, accessori o cibo fatto in casa per la vendita nei mercati comunali. Un recinto dal quale è difficile uscire, anche per l'approccio degli istituti bancari, poco propensi a dare fiducia a donne. Se per operazioni di microcredito ogni pregiudizio sessista può dirsi ormai superato, quando si discute di grandi progettualità le difficoltà aumentano. Grazie all'impegno di pioniere come Amy Jadesimi, però, le cose stanno  cambiando. E l'ingresso di donne nell'industria petrolifera in Nigeria può avere un grande valore simbolico e aprire la strada a profonde innovazioni sociali.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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