Monti a Rimini: il vero furbo è lui
Economia

Monti a Rimini: il vero furbo è lui

Il professor Monti al Meeting vede l'uscita dalla crisi e spaccia le riforme per successi

Confesso. I passaggi che mi hanno colpito di più nel lungo intervento del presidente del Consiglio, Mario Monti , al Meeting di Rimini, non sono tra i più altisonanti (sui giovani, sull’Europa o su De Gasperi). Mi ha colpito invece quello in cui offre ai direttori dei Tg Rai “l’amichevole consiglio” di non definire “furbi” gli evasori fiscali, e l’altro in cui ammette di essere in linea con il leit motiv del Meeting: l’imprevedibile istante. Il professore si dichiara consapevole di star vivendo un imprevedibile istante come capo del governo, carica che mai avrebbe ricoperto se avesse affrontato elezioni democratiche. Più difficile per lui riconoscersi nell’altro filo conduttore di Rimini: i giovani e la crescita. Perché non è giovane, e perché tutto si può dire di Monti come premier, tranne che si sia distinto per una politica della crescita.

Il resto mi lascia perplesso, come l’elenco delle riforme che il professore vorrebbe spacciare come altrettanti successi: spending review, mercato del lavoro e liberalizzazioni. Tre campi nei quali c’è ancora molto da fare (per usare un eufemismo). La spending review non ha toccato i privilegi della casta e si è abbattuta come una mannaia solo sulla classe media, lasciando intatti “diritti acquisiti” che nell’attuale fase di crisi suonano inaccettabili. Esempio? Le pensioni d’oro e i cumuli d’incarichi nel pubblico (poteva intaccarli un governo che è composto in buona parte da grand commis che vivono - o vivranno - di pensioni d’oro e consulenze?). La riforma della Fornero ha irrigidito il mercato del lavoro invece di renderlo più flessibile, avrà effetti peggiorativi dai call center alle agenzie immobiliari, è costruita sul presupposto anacronistico del posto fisso. Quanto alle liberalizzazioni, sono lavoro lasciato a metà. Anzi, a un quarto. Ben altro si sarebbe potuto e dovuto fare.

A parte la trascurabile contestazione di tre giovanotti che si sono presentati in mutande all’appuntamento col discorso di Monti (poi allontanati e tenuti separati dai giornalisti), tra il Prof e il Meeting sembra sia “esploso il feeeling”, con tre “e” come titolava l’ANSA. Solo che le giuste parole del premier erano minate dalla sua storia personale (a proposito, quand’è che la Presidenza del Consiglio si deciderà a pubblicare il curriculum di Monti sul sito di governo?). Una storia che è quella di un uomo lontanissimo dai problemi della generazione attuale: un barone universitario, già consulente di grandi banche d’affari e agenzie di rating, calato dall’alto ai vertici della Commissione Europea e del governo italiano per decisione politica e non dopo gare di merito o libere elezioni.

Calza poco, allora, la citazione di Alcide De Gasperi, lo statista al quale i politici che gli sono succeduti si sono illusi di poter essere paragonati. Ma Monti non è De Gasperi. L’Europa di allora non è quella di oggi. E l’Italia attuale non è quella che con volontà, fatica e rigore morale e intellettuale si è guadagnata dopo la Seconda Guerra Mondiale una posizione di testa tra le maggiori economie del mondo. Oggi, Monti dice di vedere “per certi versi” l’uscita dalla crisi. Aggiunge che l’Italia è competitiva non grazie a un hard power (la forza militare), ma al soft power che contraddistingue il genio italico. Peccato che i cervelli continuino a fuggire all’estero e siamo indietro sul numero dei brevetti rispetto praticamente a tutti i nostri partner e competitor. E gli istituti di ricerca vengono chiusi, invece che rilanciati. Il rigore non risparmia affatto il soft power.

Se questo è tutto ciò che Monti aveva da dire dopo la “breve vacanza”, speriamo di poter archiviare presto anche la sua esperienza di governo e preghiamo perché si torni alla democrazia piena. Non c’era bisogno di lui per sapere che la mia generazione, quella dei cinquantenni, è perduta, è stata uccisa dalla “Monti generation”. O che i giovani, quelli veri, fino ai 25-30 anni, “hanno pagato un prezzo salatissimo”.

Cambia poco se un Tg definisce “furbi” gli evasori, anzi come giornalista mi seccherebbe cancellare dal mio vocabolario un aggettivo per ordine del presidente del Consiglio, se i grandi capitali volano all’estero e l’evasione raddoppia perché si dichiara “guerra agli evasori” senza poi esser capaci di stanare quelli veri, e si tartassano quelli che hanno sempre pagato.

Mi preoccupa la sollecitudine con la quale i tre direttori dei Tg Rai si sono affrettati ad attenersi agli amichevoli consigli linguistici del premier, come se chiamare “furbi” gli evasori sia stato finora un elogio. L’insegnamento di Monti al Meeting si può riassumere in tre parole: credere, obbedire, combattere. E alla fine il più furbo è lui.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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