Libia, l'Eni e la crisi energetica che non c'è
Economia

Libia, l'Eni e la crisi energetica che non c'è

L'impianto Eni riparte. Senza troppi problemi per l'Italia. Anche perché da Tripoli arriva solo il 10% del gas. Troppo poco per essere strategico

Le turbolenze libiche ci creano fastidi, ma non preoccupano. «Nessun problema», dice il ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera del blocco dell’impianto Eni-Noc a Mellitah, a ovest di Tripoli. «La situazione è sotto controllo». E in effetti, fanno sapere dall’Eni, sono stati riattivati gli impianti ed entro la settimana GreenStream tornerà a pompare gas verso Gela, come se nulla fosse accaduto. Per sapere quando succederà basta collegarsi al sito di SnamReteGas che tre volte al giorno aggiorna i flussi in tutta la sua rete.

La dipendenza energetica (dal 2000 la produzione si è dimezzata e l’import è cresciuto del 50%, secondo le rilevazioni dell’Autorità per l’Energia) ci rende nervosi ma in questo caso stiamo rischiando poco o nulla. Basti pensare che nel 2011, durante la dilaniante rivolta antiGheddafi, Eni chiuse tutte le strutture in quel Paese per oltre sei mesi. Non successe nulla e non fu neanche necessario attingere alle riserve. Adesso la sosta del’impianto è stata molto breve, la stagione volge al bello (per fortuna) e la produzione industriale (purtroppo) al brutto: due fattori che riducono i consumi elettrici e quindi energetici.

La Libia non è così strategica come il sentimento comune farebbe pensare. Ogni anno importiamo circa 80 miliardi di metri cubi di gas e solo 9 arrivano da quel Paese: poco più del 10%, la stessa quota della nostra produzione nazionale. «Realisticamente non vedo grandi problemi», conferma Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici a Trieste e presidente della task force per la ricostruzione della Libia. «Tutto l’apparato libico vive sull’energia e quindi si guardano bene dallo scoraggiare i grandi operatori internazionali. Anche le milizie armate agiscono a intermittenza, per disturbare, e magari aprire qualche trattativa segreta, ma senza creare danni reali».

Nessuna preoccupazione immediata, quindi. Ma qualche ansia per il futuro sì. «Non dobbiamo distoglierci dal problema generale», aggiunge Paniccia: «Vogliamo avere nei prossimi due anni rapporti strategici con la Libia e farla diventare per noi importante come Algeria e Russia (i Paesi da cui arriva il 60% del gas, ndr.) ? O ci bastano solo queste due fonti?». Senza dimenticare, però, che anche in Algeria la situazione non può certo definirsi tranquilla e stabile. Inoltre, mentre molti Paesi dell’area mediterranea stanno puntando verso il mare, con Israele in testa, per ridurre la dipendenza dai tradizionali fornitori di energia, l’Italia su questo fronte è ferma. «Purtroppo il nostro Paese è riluttante a fare investimenti strategici che invece sta facendo persino il Libano », conclude amaro Paniccia.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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