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Economia

Legge di bilancio e flessibilità: cosa può aspettarsi l’Italia dall’Europa

Esistono regole precise che consentono di sforare sui conti, anche se la Commissione Ue ha ampi margini di discrezionalità per decidere

Flessibilità, è questa la parola chiave attorno a cui stanno girando in questi giorni i destini, ovvero i contorni finanziari, della prossima legge di bilancio. A seconda infatti dei livelli di discrezionalità sui conti che saranno concessi da Bruxelles, il governo avrà facoltà o meno di mettere in campo determinati provvedimenti. Una sorta di partita a scacchi che si sta giocando da qualche tempo e che vede impegnati da una parte ministri del nostro esecutivo con in testa il premier Matteo Renzi, e dall’altra esponenti della Commissione europea, a cominciare dal presidente Jean Claude Juncker.

La finta flessibilità di Angela Merkel


A questo proposito è proprio di queste ultime ore ad esempio una dichiarazione del ministro dello Sviluppo Carlo Calenda che parla di flessibilità “meritata” a fronte delle riforme “in corso”. Ma come funzionano le procedure attraverso le quali la Commissione europea può decidere di concedere flessibilità sui conti a uno dei Paesi dell’Unione? Cominciamo subito con il dire che esistono delle regole che stabiliscono con precisione le modalità e le ragioni per le quali a un governo nazionale possono essere concessi margini di operabilità sui parametri che riguardano deficit ed eventuali sforamenti. Per la precisione sono tre le clausole di flessibilità che un Paese può chiedere, per ottenere sconti sul percorso di aggiustamento dei bilanci: la prima tiene conto del ciclo economico, la seconda delle riforme strutturali programmate, la terza degli investimenti.

Padoan, l'Ecofin e la lunga partita per la flessibilità


Ebbene, il nostro Paese ha già ricevuto due di questi tre bonus, e più precisamente i primi due. Siamo stati infatti beneficiari di una condotta “flessibile” sui conti negli anni 2015 e in questo 2016, sfruttando appunto gli effetti del ciclo economico e la programmazione di determinate riforme. Ora quindi ci appresteremmo a chiedere nuova flessibilità sulla base del rilancio di investimenti. Peccato però che tutta questa materia sottenda a una questione ritenuta quanto mai fondamentale e che per l’Italia da tempo rappresenta una vera e propria spada di Damocle: ci riferiamo al debito pubblico rispetto al quale bisogna costantemente dimostrare di essere impegnati per un suo abbattimento. Ebbene, recenti dati economici dimostrano purtroppo che negli ultimi tempi invece il nostro già mostruoso debito pubblico ha ripreso a salire con ritmi molto preoccupanti.

Renzi e la battaglia per la flessibilità in Europa


Una circostanza questa che potrebbe spingere dunque l’Europa a rifiutarci qualsiasi nuova flessibilità. Chiarito il panorama delle regole, bisogna però sottolineare un altro fattore assolutamente determinante. Su tutta questa materia infatti, a dispetto appunto delle procedure sopra elencate, la Commissione europea è dotata di un ampio margine di discrezionalità, che si basa soprattutto su quelle che possono essere le condizioni e le richieste specifiche formulate da un Paese in un dato momento. È dunque su questo piano, che appare evidentemente molto più politico e diplomatico, che si sta giocando la partita dell’Italia circa la concessione di nuova flessibilità. Vedremo con quali risultati.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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