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Economia

Smart working, perché ancora non parte

Nelle aziende italiane crescono le sperimentazioni del cosiddetto lavoro agile. Ma esistono ancora molti ostacoli culturali

In inglese lo chiamano smart working, ed è un modo di lavorare “agile e intelligente”, basato sulla flessibilità degli orari e sull’orientamento ai risultati. In molte aziende lo sperimentano già da anni con progetti specifici, consentendo ai dipendenti di avere maggiore autonomia nella gestione della giornata e degli spazi di lavoro e di operare a distanza, anche da casa, quando ci sono particolari esigenze personali che impediscono di recarsi in ufficio.


Secondo i dati dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, gli italiani che operano con queste modalità avanzate, pur avendo un contratto da dipendente, sono ormai più di 300mila, in crescita di ben il 14% tra il 2016 e il 2017.


Questione di cultura

Tuttavia, esiste ancora qualche ostacolo culturale che impedisce al lavoro agile di estendersi su larga scala.  OD&M Consulting, società controllata da Gi Group e specializzata nella consulenza sulla gestione delle risorse umane, ha condotto un’indagine da titolo “Smart Working: is your company smart?”, effettuata su un panel di 84 aziende del nostro paese.


Lo scopo  della ricerca era approfondire quali sono le ragioni per cui le imprese decidono di utilizzare lo smart working, quali i benefici ottengono e quali criticità incontrano nell’applicarlo. Dallo studio di  OD&M Consulting è emerso che le difficoltà maggiori sono per lo più di tipo culturale e in misura assai minore legate a fattori pratici come la disponibilità di dotazioni tecnologiche.


Molte aziende interpellate ritengono infatti che per l'estensione del lavoro agile sia importante diffondere una cultura aziendale basata sulla fiducia nell’impresa, sull’attitudine all’autonomia e alla responsabilità,  sulla predisposizione al cambiamento e all’utilizzo di strumenti digitali. Il tutto, ovviamente, deve essere accompagnato da un sistema di valutazione dei risultati attraverso opportuni Kpi (key performance indicator), indicatori chiave di performance.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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