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Economia

Assunzioni a Melfi: chi vince e chi perde nei sindacati

Le 1.500 assunzioni rafforzano chi ha creduto alle promesse di Sergio Marchionne e indeboliscono i sostenitori della linea dura. Soprattutto la Fiom

Le 1.500 assunzioni annunciate dalla Fiat il 12 gennaio scorso sono paragonabili alla fine di una traversata nel deserto per i lavoratori e i sindacalisti che hanno creduto fin dall’inizio alle promesse di Sergio Marchionne. 

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Era il marzo 2010 quando l’amministratore delegato presentò per la prima volta il progetto “Fabbrica Italia”, provocando un confronto durissimo all’interno del sindacato fra chi accettava la maggiore flessibilità richiesta agli operai in cambio della difesa dei posti di lavoro e di qualche miglioramento salariale e chi invece accusava il manager italo-canadese di voler piegare i lavoratori con ricatti e menzogne.

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A quasi cinque anni di distanza, con le vendite della Fca in crescita in tutti i mercati e l’occupazione in ripresa anche in Italia, la sua scommessa sembra vincente non solo in senso strettamente industriale, ma anche sul piano delle relazioni sindacali, dove questa vicenda ha già lasciato tracce profonde con l’uscita della Fiat da Confindustria. Nel 2010 gli aderenti alla Fiom (metalmeccanici della Cgil), storicamente il segmento più forte e combattivo delle fabbriche italiane, erano quasi il 20% della forza lavoro sindacalizzata della Fiat. Oggi, dopo l’opposizione intransigente al referendum di Pomigliano dei suoi segretari (prima Gianni Rinaldini, poi Maurizio Landini), le manifestazioni di piazza e soprattutto gli innumerevoli ricorsi alla magistratura contro l’applicazione dell’accordo firmato dagli altri sindacati, quel numero è sceso sotto il 10%.

Gli operai, insomma, sembrano meno affezionati di un tempo a un sindacato che dipinge il padrone sempre e comunque come un nemico e non apprezza le opportunità concrete offerte ai lavoratori. Gli stabilimenti di Pomigliano e di Melfi, a detta di chi li ha visitati, sono solo lontani parenti della fabbrica di vent’anni fa: la fatica fisica è molto minore ed è decisamente più elevato il coinvolgimento personale dei singoli operai nell’organizzazione del lavoro. Ora che arrivano anche le nuove assunzioni e l’assorbimento della cassa integrazione residua il cerchio sembra chiudersi in modo positivo per tutti. Non è poco in un’epoca in cui la ripresa dell’occupazione è in cima all’agenda della politica economica nazionale.

Ne è decisamente soddisfatto Roberto Di Maulo, segretario della Fismic, il sindacato autonomo che più di tutti si è battuto in questi anni per andare a vedere le proposte di Marchionne. "Il principale insegnamento di questa vicenda" dice a Panorama.it "è che il sindacalismo del conflitto a tutti i costi e della lotta di classe è superato. Noi non rinunciamo a essere combattivi nei confronti dell’azienda, beninteso, ma l’obiettivo è risolvere i problemi, non crearne». Oltre alla Fismic anche Fim (Cisl) e Uilm (Uil) hanno sostenuto l’accordo, in sintonia con le rispettive centrali confederali e infatti oggi non mancano di dare risalto agli ultimi annunci dell’azienda. Assai meno enfatica la Cgil di Susanna Camusso, che pur senza sposare del tutto la linea “barricadera” di Landini, ha messo da tempo la Fiat di Marchionne nel Pantheon dei simboli negativi da combattere. È la classica spaccatura fra pragmatici e massimalisti, che a fine mese sarà fotografata dalle consultazioni per l’elezione delle nuove rappresentanze sindacali dell’azienda, a cui parteciperanno tutte le sigle tranne la Fiom.

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Stefano Caviglia