Pensioni, perché adesso si svalutano
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Pensioni, perché adesso si svalutano

Nel 2014, i contributi previdenziali dei lavoratori perderanno valore, rosicchiando l'importo dei futuri assegni pensionistici. Colpa del crollo del pil

Cento euro versati finora per la pensione pubblica, cioè quella liquidata dall'Inps e dagli enti previdenziali, dal prossimo anno perderanno valore e diventeranno 99,8 euro. E' la cattiva notizia che devono purtroppo digerire oggi milioni di lavoratori, a causa del crollo del pil italiano registratosi ultimi anni. Accantonare i contributi per la pensione, che ovviamente è obbligatorio per legge, ha costretto dunque i nostri connazionali a fare “un investimento in perdita”, visto che i soldi versati si stanno svalutando, invece di rivalutarsi. Risultato: le future rendite pensionistiche potrebbero essere ancor più magre del previsto.


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La colpa di questa spiacevole sorpresa è della recessione economica e, prima ancora, del sistema con cui vengono calcolate le pensioni pubbliche dopo la riforma previdenziale varata dal governo Dini nel 1995 (il cosiddetto metodo contributivo). In base a questa legge, infatti, i futuri assegni pensionistici degli italiani dipenderanno interamente dai contributi versati nel corso di tutta la carriera e non più, come avveniva un tempo, dalla media degli ultimi stipendi percepiti prima di mettersi a riposo (sistema retributivo).


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Fatte queste premesse, si arriva a capire perché la crisi economica rischia di rosicchiare i futuri assegni pensionistici degli italiani. I soldi oggi versati all'Inps si accumulano infatti nel tempo e vanno a formare un particolare valore, il montante contributivo, la cui crescita dipende in gran parte dall'andamento dell'economia. Nello specifico, il montante contributivo viene rivalutato ogni 12 mesi in base all'andamento medio del pil italiano dei 5 anni precedenti. L'indicatore preso a riferimento è la crescita del pil nominale (e non reale), cioè la variazione del prodotto interno lordo che tiene conto degli effetti dell'inflazione. Esempio: se in un anno l'inflazione e del 2% e la crescita reale del pil è pari a un altro 2%, la variazione del prodotto interno lordo nominale sarà nel complesso del 4%.


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Fino al 2014, l'andamento medio del pil nominale del quinquennio precedente è sempre stato positivo e, di conseguenza, i contributi pensionistici degli italiani si sono sempre rivalutati positivamente. Nel 1996, anno di entrata in vigore della riforma Dini, l'aumento fu addirittura del 6,2%. Nel 2000 si è scesi al 5,1% e nel 2007, prima della crisi economica, la rivalutazione è stata invece del 3,3%. Poi è arrivato il crollo del pil degli ultimi 7 anni e si è giunti appunto alla situazione di oggi: nel 2014, il montante contributivo degli italianiè sceso la prima volta in valore assoluto, per una quota pari allo 0,2%. Uno scenario simile ci sarà anche nei prossimi anni visto che l'Italia è reduce da un lungo periodo di crisi economica, accompagnata da una bassa inflazione.


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Non è difficile capire quali sono le conseguenze a cui stanno andando incontro i lavoratori, se il pil del nostro paese non tornerà a viaggiare a ritmi un po' più sostenuti. Il montante previdenziale è infatti un valore importantissimo, perché serve a calcolare l'importo della futura pensione. Una volta che il lavoratore ha raggiunto l'età minima per mettersi a riposo, i suoi contributi (rivalutati) vengono infatti moltiplicati per un particolare coefficiente e, su questa base, viene determinato l'ammontare del suo assegno pensionistico. Dunque, più basso è il valore del montante contributivo, più bassa è la pensione. C'è dunque da augurarsi che il pil italiano, prima o poi, torni finalmente a muoversi all'insù.


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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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