Pensioni: assegni minimi e meno contributi per i giovani. La proposta di Giuliano Cazzola
Economia

Pensioni: assegni minimi e meno contributi per i giovani. La proposta di Giuliano Cazzola

L'ex-presidente della Commissione Lavoro alla Camera propone di ridurre di 8-9 punti  i versamenti previdenziali per i neo-assunti. Ecco come

Circa nove punti in meno di contributi da pagare per i giovani neo-assunti e una pensione minima sociale per tutti. Sono le due proposte avanzate in materia previdenziale da Giuliano Cazzola , ex-vicepresidente della Commissione Lavoro alla Camera ed ex-sindacalista della Cgil (da cui si è poi molto allontanato nella seconda metà negli anni '90).

PENSIONI SEMPRE PIU' MAGRE PER I GIOVANI

“Si tratta di un progetto che ricalca i contenuti di una proposta di legge che ho presentato in Parlamento nella scorsa legislatura, assieme al senatore ed ex-ministro Tiziano Treu”, dice Cazzola, che spiega come, secondo lui, dovrebbe essere il sistema pensionistico italiano del futuro.

Qual è, in sostanza, la sua proposta?

Il primo obiettivo è assicurare un reddito minimo a tutti i pensionati, o almeno a quelli che hanno lavorato un certo numero di anni, istituendo un assegno di base, a carico della fiscalità generale. Oggi, dopo l'approvazione della riforma Dini del 1996, il trattamento al minimo è destinato a scomparire.

Poi?

Assieme all'assegno di base, ci sarebbe invece una pensione contributiva, maturata però con dei versamenti più contenuti rispetto a oggi. La mia idea è di portare l'aliquota previdenziale attorno al 24-25% per tutti, lavoratori autonomi e subordinati, contro l'attuale 33% previsto per i dipendenti.

Ma è un progetto sostenibile dal punto di vista finanziario?

Naturalmente, gli effetti di entrambe i provvedimenti andrebbero studiati e calcolati bene. Faccio però una precisazione: la mia proposta riguarda soltanto i giovani neo-assunti al primo impiego, per i quali vi sarebbe così una riduzione dei contributi da pagare di circa il 9% e, di conseguenza, un calo strutturale del costo del lavoro.

Chi ne beneficerà? Soltanto le imprese o anche i dipendenti?

Penso che  i vantaggi possano essere distribuiti su entrambi i fronti. Oggi, i contributi previdenziali sono per due terzi a carico delle aziende e per un terzo a carico dei lavoratori. Anche nel taglio delle aliquote, potrebbero essere mantenute queste proporzioni.

Lei propone anche di agire sulle pensioni elevate. Come?

Credo che si possano studiare diverse misure per imporre dei contributi di solidarietà sugli assegni Inps più alti, senza finire nella tagliola di qualche sentenza della Corte Costituzionale, come quella che di recente ha annullato i prelievi sulle pensioni d'oro, superiori a 90mila euro annui.

Cosa suggerisce?

Si possono seguire diverse strade. La prima consiste nel rapportare l'importo delle pensioni attuali, calcolate con il vecchio metodo retributivo (cioè in proporzione agli ultimi stipendi ndr) e confrontarlo con l'ammontare dell'assegno che sarebbe invece maturato con il nuovo metodo contributivo (cioè in proporzione ai contributi versati nel corso di tutta la carriera ndr). Su questa base, si può applicare un prelievo di solidarietà che gravi maggiormente su chi riceve un assegno sproporzionato rispetto ai versamenti effettuati.

E se anche questo provvedimento fosse bocciato dalla Consulta?

La mia proposta è di adottare anche un altra misura: invece di tagliare gli assegni d'oro, si potrebbe decidere di rivalutarli meno in base all'inflazione.

Si spieghi meglio...

Per legge, l'importo delle pensioni cresce ogni anno di una quota compresa tra il 75% e il 100% dell'inflazione, a seconda dell'ammontare dell'assegno. Le rendite più basse, per esempio,  vengono rivalutate dell'intero indice dei prezzi mentre la parte di pensione sopra i 2.400 euro cresce soltanto per i 3 quarti del caro-vita. Ora, per chiedere un sacrificio a chi guadagna di più, si potrebbe rimodellare tutte queste aliquote, cercando appunto di penalizzare ulteriormente gli assegni previdenziali elevati.

Perché nessuno lo ha fatto finora?

Perché è una misura che darebbe effetti significativi nel medio termine, mentre le leggi previdenziali approvate negli ultimi anni si sono spesso concentrate sul breve periodo. Io, invece, credo che sia necessario pensare a un sistema pensionistico adatto alla società del futuro, ragionando con lungimiranza.

In che senso?

L'impianto dell'attuale sistema è stato concepito sostanzialmente nel 1969 per dare una prospettiva e una speranza alla generazione che allora rappresentava la maggioranza nel mercato del lavoro. Era gente che aveva versato pochi contributi agli inizi della carriera e che necessitava di pensioni sostanziose, maturate in un periodo non superiore ai 35 anni. Ora, quel sistema non regge più perché le condizioni sociali e demografiche sono cambiate e occorre pensare alle giovani generazioni di oggi.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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