Salari, i fornai vogliono l'aumento: 1.000 euro al mese non bastano più
Economia

Salari, i fornai vogliono l'aumento: 1.000 euro al mese non bastano più

I dipendenti dei panifici sono 100 mila in Italia per un giro d'affari di 7 miliardi di euro. Da 11 mesi aspettano il rinnovo del contratto

Chi fa il pane non ha più soldi per comprarselo. È il paradosso dei 100.000 panettieri che aspettano da 11 mesi il rinnovo del contratto di lavoro. Chiedono un aumento minimo: il 7% della busta paga a fronte di un tasso dell’inflazione che galoppa oltre il 3% nel 2012.

Si tratta, per uno stipendio medio che va dai 900 ai 1.100 euro, di circa 70 euro in più al mese: otto euro in meno rispetto a quanto spende ogni mese una famiglia italiana per comprare pane, biscotti, pasta e cereali.

La denuncia è partita in questi giorni da una nota congiunta delle tre principali sigle del settore agroalimentare, Fai - Cisl, Flai - Cgil e Uila, che hanno chiesto alle associazioni imprenditoriali Assipan - Confcommercio, Federpanificatori e Fiesa - Confesercenti di "garantire un adeguamento salariale per recuperare un minimo di potere d'acquisto delle retribuzioni".

Stipendi che solo raramente, e con le maggiorazioni per i turni di notte e i festivi, raggiungono i 1.800 – 2.000 euro mensili, mentre il pane - si sa - deve essere pronto ogni mattina presto, persino la domenica e nei festivi.

"La paga però è tra le più basse tra i vari settori produttivi", spiega a Panorama.itEttore Ronconi per la Flai - Cgil. "Inoltre - prosegue - non sempre i proprietari dei panifici rispettano le regole. Del resto anche noi i sindacati abbiamo le mani legate: la maggior parte dei panettieri lavora in forni artigianali, nei quali si impiegano al massimo 3 o 4 persone. Per loro il contratto nazionale è carta straccia".

Le realtà industriali, infatti, su un totale di 25.000 imprese presenti in Italia si contano sulle dita di una mano: il 90% della produzione proviene da forni artigianali. E sette italiani su dieci acquista pane fresco quotidianamente proprio nei panifici sotto casa, stando ai dati forniti dai sindacati.

Il mestiere del fornaio, poi, è di quelli tosti: la sveglia al mattino è alle 3. Ecco perché sono sempre più spesso i lavoratori immigrati a fare le alzatacce (i sindacati ancora non hanno una stima precisa), accettando buste paga più basse e senza aumenti per il lavoro notturno o festivo. Contratti in regola comunque necessari ai lavoratori extra Ue per rimanere in Italia.

Le tre sigle promettono battaglia e puntano a raggiungere un accordo entro le prime settimane di dicembre. Intanto, visto che non possono fare leva sulla contrattazione nazionale, puntano sulla sensibilizzazione dei cittadini e annunciano proteste nelle principali piazze italiane.

Il pane, dicono, si produce anche "grazie alla professionalità e competenza delle lavoratrici e dei lavoratori, che hanno legittima necessità di lavorare e vivere con un contratto rinnovato con dignità".

E i proprietari dei forni sono molto sensibili alla qualità e dovrebbero esserlo anche al tema della qualità del lavoro. Del resto i centomila fornai italiani sfornano ogni anno 3,2 tonnellate tra panini e filoni per un giro d’affari di 7 miliardi di euro.

L'aumento salariale poi, assicura Roncone, non dovrebbe avere ricadute sul prezzo al consumo della rosetta o della fila di pane. Negli ultimi mesi, aggiunge, hanno pesato di più i costi per le materie prime, come farine e lieviti. Con buona pace del nostro portafoglio.

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Massimo Morici

Scrivo su ADVISOR (mensile della consulenza finanziaria), AdvisorOnline.it e Panorama.it. Ho collaborato con il settimanale Panorama Economy (pmi e management) e con l'agenzia di informazione statunitense Platts Oilgram (Gas & Power).

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