Dipendenti pubblici: quei contratti da cambiare
Fabio Campana/Ansa
Economia

Dipendenti pubblici: quei contratti da cambiare

Negli enti statali lavora un esercito di precari. Ma, con la sentenza della Corte di Giustizia Ue sugli insegnanti, la situazione sembra insostenibile

Basta precariato a vita. E' questo, in sostanza, il messaggio giunto ieri al governo dalla Corte di Giustizia Europea, che ha dichiarato illegittima una prassi ampiamente utilizzata nella scuola italiana: il sistematico rinnovo delle supplenze agli insegnanti precari, chiamati a svolgere le loro funzioni di anno in anno, spesso per lunghi periodi che superano i 70-80 mesi. Il pronunciamento dei giudici del Lussemburgo, però, probabilmente non avrà effetto soltanto sul mondo della scuola, dove c'è quasi un terzo di tutti i dipendenti pubblici del nostro paese. A ben guardare, per gli enti dello stato lavora oggi un esercito di precari, con regole ben più blande di quelle che devono seguire invece le aziende private. Anzi, se si vuole davvero combattere il fenomeno del precariato, come proclama il governo Renzi con l'approvazione del Jobs Act, forse bisognerebbe partire proprio dalla pubblica amministrazione, che dei precari è il principale datore di lavoro.


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Più di 30 mila della sanità e 70-80 mila tra regioni ed enti locali. Ecco alcune stime sul numero di persone che da anni lavorano nella pubblica amministrazione senza un contratto a tempo indeterminato e che, secondo il sindacato Anief, avrebbero diritto a essere stabilizzati, per una ragione molto semplice: hanno superato i 36 mesi di servizio, una soglia oltre la quale dovrebbe scattare l'assunzione definitiva. Così è nelle imprese private e non si capisce perché, dunque, non dovrebbe avvenire la stessa cosa anche nel pubblico impiego. A dire il vero, esiste una ragione di questa differenza di trattamento tra dipendenti privati e lavoratori statali. Secondo una norma attualmente in vigore (il comma 5 dell'articolo 36 del decreto Legislativo n.165 del 2001), le pubbliche amministrazioni che violano le regole sui contratti a termine, cioè superano la soglia dei 36 mesi, non sono tenute poi ad assumere il dipendente in maniera stabile.



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La Corte di Giustizia Ue, però, ha cambiato le carte in tavola poiché ha sentenziato che quelle disposizioni sono in contrasto con le regole comunitarie approvate ben 15 anni fa (e in particolare con la direttiva 1999/70). Ciò vale per gli insegnanti che fanno le supplenze da una vita ma che, a ben guardare, potrebbe essere esteso a tutti gli impiegati pubblici, i quali dovrebbero essere trattati alla stessa stregua dei dipendenti privati. Per molte organizzazioni sindacali, infatti, limitarsi al mondo dell'istruzione non basta. Da tempo Marcello Pacifico, presidente dell'Anief (uno delle sigle che ha promosso le cause giudiziarie in sede comunitaria), sostiene che tutti i contratti a termine superiori a 36 mesi devono essere convertiti in assunzioni stabili, anche senza la necessità di bandire ulteriori concorsi. Basti pensare che, come ha ricordato l'avvocato dell'Anief Walter Miceli, nella pubblica amministrazione ci sono persone che hanno raggiunto l'età del pensionamento senza essere mai state assunte stabilmente. Spetta al governo, adesso, sbrogliare il bandolo della matassa.



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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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