Lavoro: quattro punti deboli della riforma Fornero
Economia

Lavoro: quattro punti deboli della riforma Fornero

La nuova legge rischia di lasciare a casa migliaia di autonomi e precari, restringere la porta d’accesso all’impiego, complicare l’uscita per dimissioni o licenziamenti, appesantire il carico della magistratura e della burocrazia. Insomma, ingessare il sistema invece di liberarlo

TUTTO SULLA RIFORMA DEL LAVORO

1 - LICENZIAMENTI: AI MAGISTRATI TROPPA DISCREZIONALITÀ
La riforma voluta dal ministro del Lavoro, Elsa Fornero, introduce qualche elemento di flessibilità a favore delle imprese: per esempio, supera il tabù che impediva in caso di licenziamento (dichiarato illegittimo) per difficoltà economiche di erogare un’indennità risarcitoria invece di reintegrare il dipendente. Il certificato medico non sospenderà i termini del licenziamento. I lavoratori non potranno più barare dandosi malati dopo il preavviso. Tuttavia, la legge attribuisce ai magistrati una discrezionalità eccessiva. La vecchia norma con reintegro obbligatorio varrà per i licenziamenti discriminatori, a voce e in caso di matrimonio, maternità, paternità. La monetizzazione con risarcimento (12-24 mensilità) sarà possibile nei licenziamenti economici a patto però che il giudice non riscontri la «manifesta infondatezza del fatto posto a base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo». Qui sta la discrezionalità. E ancora: in caso di licenziamento privo di «specificazione del motivo» non c’è reintegro, ma risarcimento di 6-12 mensilità. Una norma che faciliterà i licenziamenti? «Forse una norma finta» la definisce l’avvocato Francesco Giammaria, socio fondatore dello studio Pessi e associati, tra i primi in Italia in diritto del lavoro. Perché sarà il lavoratore a dovere dimostrare il vero motivo e si aprirà un grande contenzioso.

Altrove la logica del legislatore appare schizofrenica. Fornero introduce lo sdoppiamento del giudizio di primo grado, con l’opposizione della parte soccombente prima dell’appello, e un rallentamento di almeno quattro mesi nella migliore delle ipotesi. E poi: l’inutilità dei tentativi preventivi di conciliazione all’avvio di controversie di lavoro aveva portato alla loro abolizione, ora vengono reintrodotti per i licenziamenti economici. Come non bastasse, le dimissioni dovranno essere convalidate dal lavoratore davanti alla direzione territoriale del lavoro (per evitare quelle firmate in bianco all’assunzione). Così gli uffici giudiziari e ministeriali saranno oberati di nuovi carichi e a giovarne non saranno i cittadini, riconoscono i giudici del lavoro sentiti da Panorama.

Gli studi Ichino Brugnatelli e Associati e LabLaw sono convinti che la flessibilità in ingresso e in uscita sarà il tema caldo dei prossimi mesi.

2 - ENTRARE IN AZIENDA DIVENTA PIÙ DIFFICILE
Se l’uscita è difficoltosa, l’ingresso diventa proibitivo. Finora le imprese potevano graduare l’accesso al mondo del lavoro con una serie di contratti prima dell’assunzione. Il vantaggio era quello di contenere i costi contributivi e retributivi.

Il disboscamento di tutte le altre forme contrattuali fa sì che adesso non vi sia alternativa all’apprendistato, che già esisteva (fra l’altro s’impone di stabilizzare metà degli apprendisti ingaggiati nei 36 mesi precedenti) o al contratto a tempo determinato per 12 mesi, senza obbligo di motivazione (novità positiva, che però al momento non ha prodotto effetti tangibili). Le aziende sono restie ad arruolare under 18 e solo il 15 per cento degli occupati tra i 15 e i 29 anni risultavano a febbraio 2012 apprendisti.

La riforma Fornero prevede sgravi attraverso la disciplina della retribuzione e l’inquadramento due livelli sotto quello definitivo. Ma le aspettative non sono alte.

3 - LA GUERRA AI FALSI CO.CO.PRO. PENALIZZA ANCHE L'USO CORRETTO
La nuova normativa dei contratti a progetto è un requiem per migliaia di lavoratori. Il caso emblematico: le attività dei call center. Secondo l’avvocato Giammaria, il legislatore «pur di ridurre l’uso fraudolento dei co.co.pro. ha finito con il penalizzare proprio coloro che li utilizzavano in modo corretto». Il contratto sarà collegato «a un risultato finale concreto, a un progetto, e non semplicemente a un programma o a una sua fase, non dovrà coincidere con la riproposizione dell’oggetto sociale dell’impresa committente e non potrà prevedere lo svolgimento di compiti ripetitivi».

In un call center il progetto qual è: il numero di chiamate? Il compito coincide con l’oggetto (telefonare) e l’attività è ripetitiva... Di conseguenza, il governo è dovuto intervenire con una modifica attraverso il decreto Sviluppo, ma «scritta così male che sembra dire l’opposto di quello che intendeva, cioè fare un’eccezione per i call center».

E c’è un ostacolo anche più serio. La riforma stabilisce il riferimento alle retribuzioni minime dei contratti collettivi di categoria. «Così viene meno il vantaggio economico. La concorrenza per i call center non sta nelle aziende di telecomunicazione in Italia, ma si trova in Albania e in Romania». Il rischio è dovere delocalizzare. Per i consulenti del lavoro, il 93 per cento delle piccole imprese ha bloccato l’avvio di collaborazioni a progetto.

4 - PER LE PARTITE IVA C'È IL RISCHIO DI SCOMPARIRE
L’altro buco nero è quello delle partite iva. I contributi all’Inps saliranno al 33 per cento entro il 2018. E poi Elsa Fornero impone per la legittimità dei contratti delle partite iva due delle seguenti tre condizioni: durata superiore a otto mesi nell’anno solare, non più dell’80 per cento del fatturato dallo stesso committente o gruppo, niente postazione fissa presso la sede del datore di lavoro. Se il lavoratore perde commesse, facendolo dipendere per l’80 per cento da una sola impresa, l’ispettore può reclamarne l’assunzione. «Sarà difficile per molte partite iva rimanere sul mercato» sottolinea Giuseppe Lupoi, presidente del Coordinamento libere associazioni professionali. Per Giuliano Cazzola, ex vicepresidente (Pdl) della commissione Lavoro della Camera, la riforma produrrà «la brusca interruzione o il mancato rinnovo di questi contratti». I paletti non valgono per gli iscritti ad albi professionali o per attività altamente professionali o per chi ha redditi non inferiori a 18.661 euro l’anno.

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Marco Ventura

Inviato di guerra e cronista parlamentare de Il Giornale, poi  collaboratore de La Stampa, Epoca, Il Secolo XIX, Radio Radicale, Mediaset e La7, responsabile di uffici stampa istituzionali e autore di  una decina fra saggi e romanzi. L’ultimo  "Hina, questa è la mia vita".  Da "Il Campione e il Bandito" è stata tratta la miniserie con Beppe Fiorello per la Rai vincitrice dell’Oscar Tv 2010 per la migliore  fiction televisiva. Ora è autore di "Virus", trasmissione di Rai 2

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