Lavoro e globalizzazione, cosa non funziona
Economia

Lavoro e globalizzazione, cosa non funziona

Sempre più economisti americani pensano che la globalizzazione sia vantaggiosa nel breve periodo e pericolosissima nel lungo

Cosa potranno mai avere in comune un palloncino, le disuguaglianze sociali e la globalizzazione? Nulla, verrebbe da rispondere. E invece no: perché alcuni studiosi americani hanno recentemente iniziato ad analizzare, e a misurare, il livello di integrazione e interdipendenza dell'economia globale utilizzando variabili prese in prestiti dalla fisica e dalla matematica. L'entropia e l'entropia delle informazioni. Per calcolare con il loro aiuto le conseguenze della globalizzazione.

Se l'entropia è la grandezza che misura il disordine presente all'interno di un dato sistema, possiamo forse dedurre che l'obiettivo di questi studiosi sia quello di dimostrare che la globalizzazione ha soltanto aumentato il disordine mondiale? Non proprio: l'obiettivo di queste ultime ricerche è piuttosto quello di spiegare perché la globalizzazione sia vantaggiosa nel breve periodo e pericolosissima nel lungo.

Per riuscirci è necessario fare riferimento alla teoria dell'informazione. O, per dirla con le parole del matematico Claude Shannon , all'entropia dell'informazione. Vale a dire quella variabile astratta che ci può aiutare a misurare il grado di diffusione di ciò che stiamo osservando.

Facciamo un esempio: dopo aver gonfiato un palloncino ad elio, lasciandolo fluttuare in una stanza è facile prevedere che, misurando la distribuzione del gas nella stessa, questa è più alta laddove il palloncino si è fermato. Se lo facessimo scoppiare, invece, l'elio finirebbe con l'occupare un'area più ampia della stanza, per poi distribuirsi in maniera più o meno uguale in ogni suo angolo. Ecco: i teorici contemporanei della globalizzazione hanno applicato il modello del palloncino al Prodotto interno lordo globale, scoprendo collegamenti ed evoluzioni molto interessanti.

Anche se il commercio internazionale non è certo nato con la globalizzazione, quest'ultima ha avuto un impatto sulla distribuzione complessiva del reddito molto più incisivo di quanto sia mai stato osservato. Dopo essere rimasto concentrato per anni nelle mani di una manciata di nazioni, infatti, il Pil mondiale, grazie alla globalizzazione, ha cominciato ad essere ridistribuito tra un numero sempre maggiore di paesi. Facendo salire il livello di entropia da Pil.

Prima di chiederci quali siano stati gli effetti di questa evoluzione, dovremmo cercare di chiarire come la globalizzazione sia riuscita a provocarli. Semplice: in questo caso non è esploso nessun palloncino, sono solo state rimosse le barriere commerciali che impedivano la libera circolazione di merci e capitali, sono state ridotte le distanze ed è aumentata la sostituibilità tra lavoratori e macchine grazie alla tecnologia.

In un contesto molto più libero, però, risorse e capitali hanno iniziato ad essere trasferiti verso i luoghi percepiti come più convenienti, nel mondo sviluppato e in quello in via di sviluppo, ad Est e a Ovest, e così facendo le abitudini e le certezze che erano state accumulate fino a pochissimi anni fa sono venute meno.

Se in linea teorica la più ampia redistribuzione di opportunità e capitali dovrebbe portare alla riduzioni degli squilibri di reddito e ricchezza, indici e statistiche dimostrano che sta succedendo esattamente il contrario. Ma se dalla globalizzazione non si può tornare indietro, è realistico immaginare che nel prossimo futuro il tasso di disuguaglianza continuerà a crescere e che da questa massiccia redistribuzione globale del reddito potranno trarne benefici solo i più ricchi? Ma la globalizzazione non era servita ai paesi in via di sviluppo proprio per combattere la povertà all'interno dei rispettivi confini nazionali?

Ebbene, sempre più economisti si sono convinti che gli effetti benefici della globalizzazione rappresentino solamente un palliativo di breve periodo, e che nel lungo le conseguenze di tanta integrazione siano molto più negative. Infatti, se da un lato è impossibile arrestare il progresso, dall'altro è sempre più evidente che quest'ultimo ha dato molto più potere ai capitali (e a chi li detiene) per toglierne ai lavoratori, qualificati o non qualificati che siano. Le cui mansioni non solo iniziano ad essere sostituite dai computer, ma anche dalla manodopera globale cui i capitali decideranno di volta in volta di rivolgersi. Quindi i paesi che riusciranno ad attirare più investimenti saranno anche quelli che riusciranno a trarre maggiore beneficio dalla globalizzazione. Ma solo nel breve periodo, perché nel lungo staremo (quasi) tutti peggio. A meno che non riusciremo ad inventarci un nuovo modello di sviluppo che prenda in considerazione queste distorsioni e riesca in qualche modo ad attenuarne gli effetti.

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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