La finestra rotta
Economia

La finestra rotta

La storia del pensiero economico è stata avara con Frédéric Bastiat. Se Francesco Ferrara lo descrisse come «una di quelle celebrità immacolate e modeste, che s’ingrandiscono a dispetto di sé medesime», Marx lo relegò al rango di «commesso viaggiatore del …Leggi tutto

La storia del pensiero economico è stata avara con Frédéric Bastiat. Se Francesco Ferrara lo descrisse come «una di quelle celebrità immacolate e modeste, che s’ingrandiscono a dispetto di sé medesime», Marx lo relegò al rango di «commesso viaggiatore del libero scambio»; e Schumpeter a quello di giornalista economico: «non sostengo che Bastiat fosse un cattivo teorico; sostengo che non fosse affatto un teorico».

C’è un grano di verità negli argomenti dei detrattori: Bastiat fu attivo per i pochi anni che separarono un’ispirazione tardiva da una morte prematura; non ebbe incarichi accademici e si dedicò, piuttosto, alla politica e alla pubblicistica; sfornò un trattato (le Armonie economiche), ma eccelse in altri esercizi: il pamphlet, l’aforisma, la satira; e non è ricordato tanto per l’originalità dei contributi, quanto per l’abilità nel fustigare le inadeguatezze dei propri avversari intellettuali.

Ma è proprio nello stile fulminante e nella capacità d’interpretare accuratamente la logica delle vicende economiche che risiede la rilevanza di Bastiat. La sua fama è legata, in particolare, alla denuncia delle miopie degli economisti. Cito dall’ottima silloge curata da Nicola Iannello:

«Nella sfera economica, un atto, un’abitudine, un’istituzione, una legge, non generano solo un effetto, ma una serie di effetti. Di questi effetti, solo il primo è immediato; esso si manifesta simultaneamente con la sua causa: si vede. Gli altri non si sviluppano che successivamente: non si vedono; va bene se li si può prevedere. Qui sta tutta la differenza tra un cattivo ed un buon economista: uno si limita all’effetto visibile, mentre l’altro tiene conto e dell’effetto che si vede e di quelli che occorre prevedere».

Così – per riferire l’esempio più celebre – chi ritiene che la rottura di una finestra possa “stimolare” l’economia dimentica che le risorse destinate alla riparazione si sarebbero potute utilizzare diversamente: al beneficio per il vetraio (visibile), si contrappone un costo opportunità di pari  ammontare (invisibile); e, nel complesso, la società è pur sempre più povera di un vetro.

Tutto chiaro? Non proprio, se, a distanza di un secolo e mezzo, ancora si trova chi predichi la distruzione come fattore di sviluppo. E, invero, anche gli altri bersagli polemici di Bastiat – il protezionismo, l’interventismo, la tassazione predatoria… – godono di buona salute. Anzi, nuove fallacie economiche sembrano spuntare ogni giorno: solo questa settimana, per dire, Barack Obama ha suggerito d’innalzare il salario minimo, Silvio Berlusconi ha proposto di rendere impignorabile la prima casa, e l’Autorità per l’energia ha preteso di dare attuazione a un provvedimento che, nel prevedere un’imposta a carico di certe produzioni, sanciva il bizzarro divieto di ribaltarla sui consumatori.

Separare il grano che si vede dal loglio che non si vede non è solo un’esigenza di igiene del pensiero, bensì un’urgenza concreta, «perché quasi sempre accade che, se la conseguenza immediata è favorevole, le conseguenze ulteriori sono funeste, o viceversa». In un’epoca come questa, in cui, a dispetto del progresso della scienza economica, i principi fondamentali della disciplina sono sovente ignorati o calpestati, Frédéric Bastiat – che morì a Roma e tuttora vi riposa, presso la chiesa di San Luigi dei Francesi: fategli visita! – avrebbe avuto molto da dire.

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Massimiliano Trovato

Sono Fellow dell'Istituto Bruno Leoni. Mi occupo di regolamentazione e politiche  pubbliche: principalmente con riguardo all'economia digitale, ma con escursioni  nei campi della televisione, dei servizi postali, dello sport e del paternalismo  di stato. Ho svolto attività di ricerca per l'International Policy Network e il  Mercatus Center, ho curato due libri – l'ultimo è "Obesità e tasse" – e ho  scritto per "Il Foglio", "Libero", "il Giornale", "Il Tempo".

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