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Economia

Indagine Ocse: com'è l'Italia in 10 punti

Per l'Organizzazione internazionale: "Salari troppo legati all’età, poco spazio alle donne, manager con poche competenze e laureati bistrattati"

“Se l’Italia vuole avere un futuro prospero deve superare e migliorare le poche competenze di base e avanzate”. Parte così il quadro non proprio positivo del nostro Paese, secondo il rapporto Ocse "Strategia per le competenze".

Nelle 280 pagine del documento diffuso dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, redatto in 24 mesi di lavoro, si legge che "negli ultimi 15 anni i risultati economici dell'Italia sono stati lenti. Nonostante alcuni progressi nell'occupazione, la crescita di produttività è stata stagnante”.

Il motivo è semplice. Da una parte la forza lavoro non è sufficientemente preparata e dall’altra la domanda delle imprese è debole. Ma vediamo nel dettaglio, in 10 punti, come la situazione italiana appare nel report.

1. Competenze basse, peggio di altri Paesi

Il documento Ocse sottolinea che “l'Italia ha maggiori difficoltà rispetto ad altri Paesi nello sviluppare le competenze, per far fronte alla globalizzazione, alla digitalizzazione e all'invecchiamento della popolazione". Accanto a molte imprese, relativamente grandi, presenti con successo sul mercato globale, ve ne sono tante altre che operano con un management dotato di scarse competenze e lavoratori con livelli di produttività più bassi. Peggio che in altri Paesi.

2. Le aziende a gestione familiare e i manager

Nel Belpaese le imprese a gestione familiare “rappresentano più dell’85% del totale e circa il 70% dell’occupazione in Italia”. Ma i manager di queste realtà “spesso non hanno le competenze necessarie per adottare e gestire tecnologie nuove e complesse”. Basti pensare che "in Italia, più di 13 milioni di adulti hanno competenze di basso livello", concentrati tra i "più anziani", "gli immigrati" e tra chi lavora "nelle imprese più piccole".

3. I salari in base all'età

Un altro tema scottante sono le paghe. "Il livello dei salari in Italia è spesso legato all'età e all'esperienza del lavoratore piuttosto che alla performance individuale, caratteristica che disincentiva nei dipendenti un uso intensivo delle competenze sul posto di lavoro". Attualmente l'Italia è intrappolata in quello che il documento redatto da Ocse è definito 'low-skills equilibrium', ovvero un basso livello di competenze generalizzato. “Una situazione in cui la scarsa offerta di competenze è accompagnata da una debole domanda da parte delle imprese” fa sì che, da una parte la forza lavoro non si presenta sul mercato preparata, ossia attrezzata a svolgere le diverse mansioni possibili, e dall'altra le aziende non pretendono. Un circolo vizioso che rischia di non portare lontano.

4. La produttività che ristagna

Negli ultimi 15 anni la performance economica nostrana è apparsa piuttosto fiacca. "Ravvisando la necessità di intervenire, il governo italiano ha varato un ambizioso pacchetto di riforme", che include la "promozione" dei saperi. Ora nell'ambito del rapporto realizzato tra il luglio 2016 e il marzo 2017, "più di duecento stakeholder (rappresentanti il mondo delle imprese, dei lavoratori, dell'istruzione, degli istituti di ricerca e il governo) hanno partecipato al processo coordinato dall'Ocse” rilevando la necessità di mettere le competenze tra le priorità di un mercato del lavoro in crescita.

5. Pochi, laureati, poco preparati e bistrattati

"Solo il 20% degli italiani tra i 25 e i 34 anni è laureato rispetto alla media Ocse del 30%". Inoltre "gli italiani laureati hanno, in media, un più basso tasso di competenze". Qualche esempio? In lettura e matematica siamo al 26esimo posto su 29 paesi Ocse. Un dramma. Non solo, i laureati con una competenza di livello non vengono utilizzati al meglio, risultando "bistrattati". Denuncia l’Ocse: l’Italia è "l'unico Paese del G7" in cui la quota di lavoratori laureati in posti con mansioni di routine è molto alta. Come dire, ci sono occupati che hanno competenze superiori, ma hanno mansioni che ne richiedono meno (11,7%) e sono sovra-qualificati (18 %), con una percentuale elevata di lavoratori occupati (35%) in un settore che non c’entra niente con gli studi fatti.

6. Il divario degli studenti tra Nord e Sud

"L'Italia, negli ultimi anni, ha fatto notevoli passi in avanti nel miglioramento della qualità dell'istruzione", ma forti sono le differenze nelle performance degli studenti all'interno del Paese. "Le regioni del Sud restano molto indietro rispetto alle altre", tanto che "il divario dei risulati in Pisa (acronimo di Programme for International Student Assessment che stabilisce gli standard internazionali di valutazione) tra gli studenti della provincia autonoma di Bolzano e quelli della Campania equivale a più di un anno scolastico". Una differenza abissale: "Per esempio, mentre gli studenti di Bolzano ottengono risultati estremamente soddisfacenti, in linea con quelli dei Paesi che occupano le posizioni di testa nelle classifiche internazionali, quali ad esempio quelli degli studenti coreani, gli studenti della Campania si collocano più in basso, allo stesso livello di quelli cileni o bulgari”. Un divario tra aree geografiche ampio che richiede interventi sulle politiche per le competenze, differenziati sul territorio.

7. Il problema “università” e “imprese”

E il report Ocse ha qualcosa da dire anche sulle università, incapaci di collegarsi meglio con le esigenze del mondo del lavoro, e sulle imprese, del tutto inefficienti nell'usare in modo efficace le competenze a loro disposizione e poco disposte a investire in tecnologie e pratiche di lavoro che migliorino la produttività.

8. Dal Jobs act agli sgravi

A voler vedere positivo qualche barlume di luce c’è. Negli ultimi anni, il governo italiano ha messo in atto un insieme di riforme strutturali, compreso il Jobs Act del 2015, che mirano ad affrontare le sfide sull'occupazione oltre al "taglio temporaneo dei contributi" per le assunzioni stabili. "Tutte assieme" le novità, sostiene il report Ocse, hanno dato una spinta che ha prodotto "circa 850 mila posti di lavoro creati da quando queste riforme sono state adottate" e "il numero di nuovi contratti a tempo indeterminato è aumentato".

9. L’occupazione femminile

Ma la situazione per le italiane resta sempre difficile. Tra i Paesi membri dell'Ocse, l'Italia è al quartultimo posto per percentuale nell’occupazione femminile. Un dato allarmante, visto che “molte donne non sono neanche alla ricerca di un posto di lavoro, e questo fa sì che l'Italia faccia registrare il terzo tasso di inattività più alto" nell'area che conta 35 stati industrializzati. Il fatto che le "donne sono spesso percepite come le principali assistenti familiari ha il suo peso", spiega il dossier. Ma questa è solo una parte della storia, visto che "il tasso di fertilità in Italia è tra i più bassi dell'Ocse, l'età media in cui una donna ha il suo primo figlio è abbastanza alta e ci sono molte donne senza figli". Altro scoglio la scelta della laurea. Molte donne scelgono spesso specializzazioni universitarie che non sono molto richieste dal mercato del lavoro e che rendono loro difficile trovare un'occupazione" dopo la discussione della tesi.

10. Gli asili nido

Uno dei problemi sentiti dalle famiglie è relativo agli asili nido. Occorre favorire "un'organizzazione flessibile del lavoro, l'accesso ai servizi dell'infanzia a costi più contenuti, in modo da conciliare vita e lavoro" a vantaggio delle donne e non solo. In particolare, i nidi portano "benefici anche nelle capacità di apprendimento" dei ragazzi, come "dimostrano i dati Pisa", gli standard internazionali di valutazione degli studenti, in base alle competenze, ai talenti espressi. Insomma, chi ha frequentato l'asilo nido registra poi vantaggi scolastici.

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Chiara Degl'Innocenti