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Economia

Findus, Star, Buitoni, Ikea: il rischio alimentare diventa rischio di impresa

Dopo le tracce di carne di cavallo e altro non previsto in cibi pronti e surgelati, Coldiretti ha calcolato un calo del 30% delle vendite

La fiducia è una cosa seria che si dà alle cose serie, diceva negli anni 60 del secolo scorso il mitico Carosello di un formaggio Galbani. Ed è proprio la fiducia ad essere messa in discussione dagli “incidenti” alimentari delle ultime settimane, dalla carne di cavallo “sospetta” nei ragù e nei tortellini alle tracce di colibatteri nelle torte. Coldiretti ha calcolato un calo del 30% nelle vendite di cibi pronti e surgelati. C’è timore, sospetto, diffidenza.

I rischi per le aziende coinvolte (da Findus a Star, da Buitoni, che è una divisione Nestlé, a Ikea) non sono solo economici. Vogliamo tutti sapere quel che compriamo e ancora di più quando si tratta di quello che mangiamo. "In ballo c’è la reputazione, la credibilità che un brand ha nei confronti dei suoi clienti", dice Maurizio Di Robilant, presidente e fondatore della società di consulenza che porta il suo nome specializzata nella creazione e manutenzione dei marchi: sono usciti dal lavoro del suo team, tra l’altro, il nuovo logo Fiat e lo sviluppo dell’idea Peperlizia per Ponti.

"Credo che le grandi marche supereranno la crisi. Hanno seminato bene e hanno una credibilità costruita nel corso del tempo, dura a morire", rassicura Di Robilant. Diversa è la storia per una piccola o media impresa che può anche finire travolta da una scelta sbagliata o distratta. Delicata, poi, è la questione per la “Marca Italia”, come la chiama Di Robilant impegnato da tempo a difendere la qualità e il valore delle nostre produzioni nazionali. Non possiamo certo permetterci di inquinare l’immagine del nostro cibo nel mondo. E non solo per ragioni etiche o sanitarie: sarebbe la sciocca dispersione di un patrimonio che ci viene riconosciuto nel mondo.

In ogni caso decisivo è il momento in cui ci si trova di fronte alla crisi. "Spesso la reazione sbagliata crea più danni del problema che si deve affrontare", osserva Di Robilant. "Un incidente può accadere a chiunque, quando un’azienda è molto complessa. Quel che conta è come si reagisce al momento del patatrac". E di solito come reagiscono le aziende? «Non sono preparate a farlo pensando ai valori immateriali del brand. Si fanno cogliere di sorpresa, reagiscono in maniera emergenziale. Così la prima cosa che fanno è attribuire la colpa a un altro. Poi pubblicano editti sui loro siti e promettono risposte che di solito non danno".

Questo comportamtento non funziona più, soprattutto oggi. "Una sciocchezza fatta 20 anni fa veniva facilmente riparata, adesso con Internet hai addosso gli occhi di tutti, non puoi sfuggire, soprattutto ai tuoi clienti a cui non piace sentirsi dire che la colpa è di un altro. Io i tortellini o il ragù li compro da te, ragiona il consumatore, sei tu il mio garante con la tua storia e il tuo marchio. Invece la carne dal rumeno la compri tu e sei tu che devi controllare se è quella giusta. Mi dà persino fastidio se cerchi di sfuggire alle tue responsabilità, se fai lo scaricabarile. Io consumatore posso accettare la possibilità che tu abbia sbagliato ma solo se mi tratti da partner: io ho fiducia in te ma se quando commetti un errore cominci a raccontarmi storie, la mia fiducia precipita. Invece aumenta se affronti con correttezza e trasparenza i guai che possono capitare". E questo, conclude Di Robilant, è ancor più vero per le industrie alimentari. Perché la fiducia è una cosa seria sempre. Ma a tavola lo è ancora di più.

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Giovanni Iozzia

Ho lavorato in quotidiani, settimanali e mensili prevalentemente di area economica. Sono stato direttore di Capital (RcsEditore) dal 2002 al 2005, vicedirettore di Chi dal 2005 al 2009 e condirettore di PanoramaEcomomy, il settimanale economico del gruppo Mondadori, dal 2009 al maggio 2012. Attualmente scrivo su Panorama, panorama.it, Libero e Corriere delle Comunicazioni. E rifletto sulle magnifiche sorti progressive del giornalismo e dell’editoria diffusa.  

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