Reichlin: "Rischiamo una deriva argentina"
Economia

Reichlin: "Rischiamo una deriva argentina"

L'economista della London business school sostiene che la continua messa in discussione delle regole europee è un gioco molto pericoloso

È preoccupata Lucrezia Reichlin. Anzi, "super-preoccupata" per la direzione che ha preso la politica economica italiana. Un deragliamento verso un modello argentino, teme l’economista italiana, che dal 2008 insegna alla prestigiosa London Business School.

Specializzata in economia monetaria, dal 2005 al 2008 Reichlin è stata direttore generale alla ricerca alla Banca centrale europea e il suo nome è circolato tra i candidati alla vicepresidenza della Banca d’Inghilterra nel 2014 e alla carica di governatore della Banca d’Italia nel 2017. Autrice di numerosi saggi, di recente ha firmato un articolo sul Corriere della sera nel quale sostiene che, "in modo più o meno cosciente", il governo ci sta portando verso l’uscita dall’euro.


Crede davvero che in questa maggioranza Lega-5 Stelle qualcuno pensi all’uscita dall’euro?
Francamente non lo so e mi auguro che non sia così. Però il modo in cui il governo si comporta con i partner europei, la continua messa in discussione delle regole, è un gioco molto pericoloso, che rende difficile un rapporto costruttivo con la Ue e inquieta i mercati. E se si va avanti così, l’Italia potrebbe trovarsi in difficoltà e dover chiedere l’intervento della Bce, il che richiederebbe accettare condizioni dettate dall’Europa tra cui naturalmente un piano di risanamento dei conti pubblici, quindi una perdita di sovranità.

Una situazione alla greca?
Un po’ meno dura, ma pur sempre impopolare. Per questo temo che, se uno scenario del genere si avverasse, un’uscita magari consensuale dell’Italia dal club dell’euro si potrebbe avverare.

Del resto, mai in un Paese così importante in Europa come l’Italia il sentimento anti-europeo è stato così diffuso. A furia di giocare con il fuoco della propaganda ci si può scottare.

Che cosa succederebbe alle famiglie se si tornasse a una moneta nazionale?
Una devastante perdita di valore dei patrimoni e dei risparmi.

Alle banche?
Essendo cariche di titoli del Tesoro italiano, il cui valore crollerebbe, andrebbero in crisi e una parte fallirebbe.

E alle imprese?
Si sostiene che con le svalutazioni le imprese ci guadagnerebbero. Ma non è più così, ormai le aziende che operano sui mercati internazionali fanno leva sulla qualità del prodotto, non sul prezzo. Il cambio conta sempre di meno in un mondo dove la catena del valore si è molto allungata e coinvolge più Paesi e più monete.

Alla fine l’Italia sarebbe un Paese debole in un sistema monetario dominato dalla Bundesbank. Non mi sembra un buon risultato.

Però anche lei ha criticato questo euro e le politiche di austerità…
Certamente la nascita dell’euro è frutto di un compromesso e la governance della moneta unica va cambiata.

Tutti ne sono consapevoli tanto è vero che soprattutto Francia e Germania stanno lavorando intensamente a una riforma. E l’Italia dovrebbe entrare profondamente in questa discussione. Per quanto riguarda l’austerità, penso che sia sbagliato imporla in un momento di recessione.

È stata sbagliata dal 2009 al 2012 ma oggi siamo in ripresa economica e abbiamo bisogno di riforme non di accumulazione di nuovo debito. Fare questo ci rende meno preparati ad affrontare la prossima recessione.

C’è chi sostiene che con l’euro l’Italia ha ottenuto più svantaggi che vantaggi. Lei che cosa ne pensa?
Penso che l’Italia abbia avuto un’opportunità e non l’abbia sfruttata: grazie all’euro abbiamo goduto di tassi bassi e dovevamo approfittarne per ridurre il debito pubblico. Invece non l’abbiamo fatto. E parallelamente il nostro sistema produttivo negli Anni 90 è rimasto indietro e si è ristrutturato tardi, prendendo in pieno la crisi del 2008.

Ora siamo a un bivio. O si decide di sfruttare il momento favorevole con tassi ancora bassi e un po’ di crescita per avviare un percorso di riduzione del debito e di riforma profonda del sistema economico, oppure rischiamo di finire come l’Argentina. E le decisioni del governo per ora vanno in quest’ultima direzione. 

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Guido Fontanelli