Perché il Giappone ha bisogno dell'Europa per salvarsi
Economia

Perché il Giappone ha bisogno dell'Europa per salvarsi

Mentre il debito sale, gli investimenti scendono, e il Sol Levante rischia di trasformarsi nella Grecia d'Oriente

Il Giappone è la nuova locomotiva dell'Asia o la Grecia d'Oriente? Dell'economia del Sol Levante è stato detto un po' tutto, forse perché è talmente fuori controllo da rendere impossibile elaborare previsioni affidabili o anche solo relativamente realistiche, nel breve come nel medio periodo.

La politica economica del nuovo Primo Ministro Shinzo Abe, ormai nota a tutti come Abenomics, è stata spesso lodata perché particolarmente coraggiosa e apparentemente interessata a fare il bene del paese, anche a costo di andare contro una serie di interessi consolidati. Non solo: dopo le elezioni di qualche settimana fa, l'aver ottenuto la maggioranza in entrambe le camere, e quindi l'autorizzazione implicita a portare avanti piani di riforme ancora più incisivi e rivoluzionari, aveva portato tanti a credere che l'economia nipponica avrebbe presto stupito il mondo con le sue performances positive. Ritrasformandosi in una locomotiva in grado di trascinare prima l'Oriente, poi l'Occidente, fuori da quella crisi da cui nessuno sembra riuscire a uscire.

E invece, dati alla mano, e dopo un trimestre in cui il tasso di sviluppo è di nuovo calato, passando dal +4,1% su base annuale stimato a gennaio al 2,6% di oggi, Tokyo è riuscita a stabilire un nuovo record per quel che riguarda il debito pubblico. Un quadrilione di yen, un milione di miliardi, pari a circa 7800 miliardi di euro, più della somma delle economie di Germania, Francia e Regno Unito, e cinque volte l’Italia. Il 230% del Pil, una cifra che nella sua versione originale ha quindici zeri e sembra impossibile da leggere: 1.000.000.000.000.000.  

Cosa vuol dire? E soprattutto, cosa dobbiamo davvero aspettarci da questa nazione così determinata a risolvere i propri problemi economici ma che, purtroppo, fatica a ottenere qualche risultato? Per capirlo dobbiamo trattare in maniera separata il problema della crescita e quello del debito.

Nel primo caso pesa l'incertezza relativa alle previsioni di crescita di lungo periodo. Una politica monetaria espansiva sostenuta da un incremento della spesa pubblica ha favorito i consumi interni e le esportazioni, ma non ha rassicurato gli investitori al punto da convincerli a spostare i capitali in Giappone, per rilanciare l'industria locale innescando una spirale positiva di incrementi salariali utilissima a stabilizzare la crescita e il livello di consumi interni.

Per quanto difficile possa essere, il problema del debito pubblico, esasperato dalle spese pro-crescita approvate negli ultimi mesi, va risolto, e anche in fretta. Qualche settimana fa Tokyo aveva annunciato di voler tagliare la spesa di 83 miliardi di dollari, ma per ottenere qualche risultato "vero" Abe dovrà autorizzare l'aumento dell'Iva dal 5 all'8% (previsto per aprile), per portarla poi, entro ottobre 2015, al 10%.

Abe potrebbe anche farcela, ma solo se il resto dell'economia continuerà a crescere e, di conseguenza, l'aumento dell'Iva non avrà un impatto troppo forte sui redditi delle famiglie. E si torna così al problema della crescita e degli investimenti che non arrivano. Quindi insomma, è su questo che bisogna lavorare. Altrimenti i passi avanti di questi ultimi mesi passerà alla storia come unica parentesi di ripresa in un paese in piena recessione.

Contemporaneamente, non va dimenticato che dopo anni di stagnazione e recessione il Giappone ha, finalmente, ricominciato a crescere. Certo, avevamo avuto tutti l'impressione che con le Abemonics Shinzo Abe sarebbe riuscito a rivoluzionare il paese, ma per ottenere cambiamenti così radicali è necessario avere più tempo, e coraggio. Ecco perché l'Europa farebbe bene a preoccuparsi per il futuro del Giappone. Con gli emergenti sempre più in difficoltà, per il Vecchio Continente è importante poter contare, in Asia, su un paese economicamente e finanziariamente stabile e dinamico.

Se i mercati nipponici finissero davvero fuori controllo, tutti ne pagherebbero le conseguenze. Se invece l'Europa si mostrasse disponibile a dare una mano, fidandosi di Abe e della sua politica e ricominciando a investire in Oriente, trasmetterebbe all'economia locale segnali positivi utilissimi in termini di stabilità. Non solo: se Abe fosse certo di poter contare su un afflusso regolare e abbondante di investimenti dall'estero, avrebbe la forza di evitare il drastico aumento dell'Iva che ha ora in mente, evitando il calo dei consumi che questa manovra inevitabilmente implicherebbe. Aiutando il Giappone, e un po' anche il resto del mondo, a rimanere in sella

 

 

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Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

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