google
Justin Sullivan/Getty Images
Economia

Non solo Google, perché le multinazionali non pagano le tasse in Europa

La crisi ha spinto molti governi a cercare di incassare gli importi evasi, ma le regole che permettono queste anomalie non sono state modificate

Dopo Apple è toccato a Google. E così le autorità fiscali di svariati paesi europei si sono scagliate contro un altro colosso americano accusandolo di aver evaso centinaia di milioni di euro. "Google rispetta le normative fiscali in tutti i Paesi in cui opera", continuano a ripetere i portavoce della compagnia in Italia, Francia e Inghilterra. Eppure, dopo anni di inchieste, le multe stanno per essere quantificate, e Larry Page e Sergey Brin dovranno prima o poi trovare un accordo sul pagamento delle stesse. L'Italia ha chiesto 300 milioni di euro, la Francia 500, l'Inghilterra "solo" 170.

- LEGGI ANCHE: La maxi nulta di Apple
- LEGGI ANCHE: Quanti soldi dovrà restituire Google all'Italia

Mentre i governi cantano vittoria per aver finalmente messo le mani su un evasore d'oro, resta da capire come effettivamente verranno chiusi i contenziosi fiscali con il motore di ricerca più famoso del mondo e, ancora più importante, come sarà possibile evitare che problemi come questi si ripresentino in futuro.

Perché le multinazionali non pagano le tasse

Il punto è questo: le multinazionali sempre più spesso approfittano del fatto di poter contare su più filiali localizzate in paesi diversi per spostare liberamente fondi, investimenti e profitti laddove trovano conveniente farlo. In un contesto come quello europeo, quindi, una parte dei profitti viene regolarmente tassata nella nazione in cui la filiale è effettivamente registrata, una parte viene spostata (da chi può permettersi di farlo) nei paradisi fiscali di volta in volta più accessibili o compiacenti, e una parte può essere registrata come profitto maturato da un'altra succursale e, di conseguenza, tassato nel paese in cui si trova quest'ultima (che, guarda caso, di solito ha anche il livello di tassazione sui redditi d'impresa più basso).

Europa e tasse

Non è quindi così strano che tra gli imputati principali in questo processo contro l'evasione delle multinazionali ci sia l'Irlanda. Dublino impone infatti un livello di tassazione sui redditi d'impresa pari al 12,5 per cento. Molto meno dell'Inghilterra (20), dell'Italia (27,5), della Germania (30/33) e della Francia (33,33). Quindi mentre Londra, Roma, Berlino e Parigi gridano allo scandalo per gli introiti perduti, l'Irlanda resta in silenzio perché, dal suo punto di vista, si è ritrovata ad incassare molto di più.

E' tutto un problema di regole

Come spiega bene The Economist, non basta l'accanimento di un paio di governi per risolvere il problema delle evasioni fiscali delle multinazionali. Italia, Francia e Inghilterra hanno fatto benissimo a sollevare il problema ed ad aprire le loro inchieste, perché in questo modo hanno portato in superficie un problema che esiste da anni. Ora, però, per non perdere il vantaggio accumulato, dovrebbero trovare un modo per collaborare. Smettendo di concentrarsi sulle singole multe da incassare e mettendo a punto nuove regole sulla tassazione dei redditi d'impresa che possano funzionare in tutta l'Europa.

Le normative cui continuiamo a fare riferimento oggi risalgono a svariati decenni fa e sono state pensate per un'epoca in cui la crescita globale era trainata dall'industria, non dalle aziende tecnologiche. L'espansione di queste ultime attraverso l'e-commerce ha finito col rendere la normativa vigente facilmente aggirabile, quindi inutile, e nessuno fino ad oggi ha mai considerato urgente provvedere a un aggiornamento della stessa.

Trasparenza vs illegalità

Le multinazionali incriminate operano al limite dell'illegalità, è vero, ma è proprio questa mancanza di chiarezza a rendere possibili i vari trasferimenti di risorse e profitti. Italia, Francia e Inghilterra sembrano oggi propendere per un'interpretazione restrittiva del concetto di multinazionale. Ovvero sembrano essere d'accordo sul fatto di considerarne le singole filiali come entità autonome, i cui introiti vanno dunque tassati nel paese in cui si trovano. Questo approccio, però, rischia di creare vantaggi immediati in termini fiscali, ma nel medio periodo può finire col creare una nuvola di regole eterogenee che prima o poi verranno di nuovo aggirate.

Cosa può fare l'Europa

In più, non è facile negare che le multinazionali siano una entità unica. Ecco perché l'Europa farebbe bene a sfruttare questo momento per decidere in maniera collegiale come agire. Un'ipotesi potrebbe essere quella di pensare a una tassa complessiva che i vari paesi in cui l'azienda è presente potranno poi spartirsi in base al peso della compagnia in questione nel loro paese (calcolabile, ad esempio, con una media ponderata del valore degli asset, dell’ammontare delle vendite, del numero di lavoratori assunti e via dicendo). Le eventuali perdite nel breve periodo verrebbero rapidamente ricompensate dai vantaggi di medio e lungo periodo creati da una normativa più chiara, equa e trasparente. Resta però da vedere se i singoli paesi europei avranno voglia lavorare per raggiungere un compromesso che, al momento, pare (tanto per cambiare) impossibile.

I più letti

avatar-icon

Claudia Astarita

Amo l'Asia in (quasi) tutte le sue sfaccettature, ecco perché cerco di trascorrerci più tempo possibile. Dopo aver lavorato per anni come ricercatrice a New Delhi e Hong Kong, per qualche anno osserverò l'Oriente dalla quella che è considerata essere la città più vivibile del mondo: Melbourne. Insegno Culture and Business Practice in Asia ad RMIT University,  Asia and the World a The University of Melbourne e mi occupo di India per il Centro Militare di Studi Strategici di Roma. Su Twitter mi trovate a @castaritaHK, via email a astarita@graduate.hku.hk

Read More