Inflazione, i 3 motivi per cui è bene che aumenti
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Economia

Inflazione, i 3 motivi per cui è bene che aumenti

Il presidente della Bce, Mario Draghi, lancia l'allarme sulla bassa crescita dei prezzi. Ecco i rischi per l'economia e i debiti pubblici

“Ci sono forze nell'economia globale di oggi che cospirano per tenere bassa l'inflazione". E' quanto ha affermato il presidente della Bce, Mario Draghi, in un discorso pronunciato a Francoforte, durante la conferenza della Bundesbank, la banca centrale tedesca. Pur confidando in un graduale ritorno del caroprezzi agli obiettivi prefissati, cioè al 2%, Draghi ha dunque detto chiaramente che un'inflazione così bassa come oggi non è una bella cosa. Per quale ragione? Perché dovremmo preoccuparsi così tanto, visto che nei decenni scorsi si temeva piuttosto il fenomeno contrario, cioè un costo della vita troppo alto? Ecco, di seguito, una panoramica sui motivi per cui è bene che l'inflazione torni ad aumentare, seppur con moderazione.

Consumi al palo

Innanzitutto, un'inflazione troppo bassa rappresenta un danno per la congiuntura economica, soprattutto per gli effetti che ha sulle aspettative dei consumatori e delle aziende. Se infatti molta gente e molti imprenditori prevedono che i prezzi restino fermi nei mesi a venire (o addirittura siano in discesa), sono spinti a spostare in avanti le proprie decisioni d'acquisto. C'è per esempio chi sceglie di aspettare ancora un po' a comprarsi l'automobile o la casa, mentre parecchie aziende sono invogliate a rimandare nel tempo gli investimenti produttivi, visto che non temono rincari in futuro. Con questo scenario di fondo, i consumi vanno al rallentatore e i timidi segnali di ripresa del pil che si intravedono oggi in Italia (+1,5% nel 2016) rischiano di scomparire velocemente. Stessa cosa per l'intera Eurozona.

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Effetto-domino

In uno scenario come quello descritto in precedenza, in cui i consumi restano fermi al palo o non crescono come dovrebbero, c'è il rischio che l'economia entri in una spirale negativa e piombi nuovamente nella deflazione, cioè in una fase in cui i prezzi scendono, invece di salire (come è avvenuto in Europa lo scorso anno, seppure per un periodo molto breve). La deflazione si verifica infatti proprio quando i consumi sono stagnanti, la gente spende poco e quando molte aziende, per sopravvivere, sono costrette a ribassare notevolmente i prezzi dei prodotti. Non ci sarebbe nulla di drammatico, se non vi fosse il rischio concreto di un effetto-domino: quando un'impresa produttrice abbassa i prezzi, infatti, anche i suoi concorrenti sono costretti a fare altrettanto, perdendo notevoli margini di guadagno o vendendo addirittura la merce sottocosto, per smaltire il magazzino. Si tratta di uno scenario che è insostenibile nel medio e lungo termine e che, prima o poi, costringe le aziende a fare una cura dimagrante e a ridurre il personale.

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Il peso del debito

Come se non bastasse, la scarsa crescita dell'inflazione è una cattiva notizia anche per i paesi come l'Italia che hanno un elevato debito pubblico in rapporto al prodotto interno lordo (pil). Non va dimenticato, infatti, che il pil di un paese, cioè il valore dei beni e dei servizi venduti sul mercato interno o esportati all'estero, aumenta ogni anno (in valore assoluto) anche grazie all'inflazione e non soltanto per merito della crescita vera e propria dell'economia (la crescita reale). Se peròl'inflazione è vicina allo zero o addirittura negativa, allora ancheil valore assoluto del pil cresce poco o addirittura scende, invece di salire. Risultato: il rapporto debito/pil, che in Italia è già al 133%, potrebbe muoversi ancora verso l'alto e non calare come dovrebbe.

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Andrea Telara

Sono nato a Carrara, la città dei marmi, nell'ormai “lontano”1974. Sono giornalista professionista dal 2003 e collaboro con diverse testate nazionali, tra cui Panorama.it. Mi sono sempre occupato di economia, finanza, lavoro, pensioni, risparmio e di tutto ciò che ha a che fare col “vile” denaro.

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