La Grecia fuori dall’euro? Un fondo di verità non manca
Economia

La Grecia fuori dall’euro? Un fondo di verità non manca

Le indiscrezioni sull'uscita continuano, ma Berlino smentisce. In molti però sono stanchi di Atene. E oggi l’eurozona potrebbe gestire le emergenze

Dentro o fuori. Il 2015 dell’eurozona si è aperto con un tema che sembrava passato, la possibile uscita della Grecia dall’unione economica e monetaria. Da un lato il settimanale tedesco Der Spiegel, citando fonti del governo tedesco, ha rilanciato l’idea.
Dall’altro, la Germania ha smentito ogni indiscrezione. In mezzo, tuttavia, c’è un fondo di verità.

La Germania ora considera gestibile l’uscita della Grecia dall’eurozona

Le indiscrezioni di Der Spiegel
“Il governo tedesco ha cambiato opinione e considera la secessione della Grecia dall’area euro come un evento gestibile”. Sabato scorso, Der Spiegel ha fatto sussultare Atene, Berlino e Bruxelles. Dopo circa 24 ore, è arrivata la smentita. “Nessun cambio di rotta”, ha detto la Germania. Un botta e risposta che ricorda quelli a cavallo di 2011 e 2012, quando l’allora primo ministro ellenico George Papandreou arrivò a proporre (salvo ritrattare subito dopo) un referendum nazionale per far uscire il Paese della zona euro, durante il G20 di Cannes. 

La frustrazione che aleggia nell’Ue
Lontano dal gossip e dai ballon d’essai, però, c’è qualcosa di vero. È reale il sentimento di frustrazione che hanno molti funzionari della Commissione europea, e delle cancellerie di diversi Paesi, di fronte a ciò che sta accadendo in Grecia.

Come aveva spiegato un alto dirigente della DG ECFIN a Panorama pochi giorni fa, dietro anonimato, sta crescendo l’opinione che tutto sia stato fatto per evitare la catastrofe, ma che oggi sia tutto nelle mani dei greci. “Sono stati aiutati, foraggiati, sostenuti, e ora? Ora fanno di nuovo quello che vogliono, riportando il Paese nel baratro. Bene, che facciano ciò che desiderano fino in fondo, allora”, ha detto il funzionario. Una critica, nemmeno troppo velata, al ritorno alle urne in un Paese in cui la vecchia classe dirigente, la stessa che ha condotto la Grecia nel baratro cinque anni fa, sta tentando un clamoroso rientro dalla porta principale.

I mercati hanno già previsto un’uscita della Grecia


La robustezza dell’architettura Ue
Rispetto a tre anni fa, l’architettura dell’eurozona è profondamente mutata. Le emergenze finanziarie sono state mitigate, tramite l’intervento della Banca centrale europea (Bce). È nato uno strumento in grado di supportare le esigenze finanziarie degli Stati sotto pressione sui mercati, lo European stability mechanism (Esm). È stato portato avanti, e concluso, un processo di verifica e controllo sui bilanci bancari, tramite il Comprehensive assessment dell’istituzione guidata da Mario Draghi

È stato introdotto un meccanismo di gestione delle crisi bancarie, ovvero la Bank recovery and resolution directive (Brrd). È stato creato un modello capace di evitare che i governi paghino per il salvataggio delle istituzioni finanziarie in difficoltà, ovvero il bail-in, il salvataggio tramite gli asset interni. Inoltre, la Bce ha dimostrato di poter fronteggiare sia eventuali crisi di liquidità, tramite il sempreverde Emergency liquidity assistance (Ela), sia crisi di fiducia sul mercato dei bond governativi, attraverso le Outright monetary transaction (Omt), che hanno convinto gli investitori internazionali sulla bontà delle misure introdotte da Draghi. 

Perché è gestibile l’uscita?
Questo basta per dire con certezza che un’uscita della Grecia potrebbe essere gestibile? La risposta, almeno in linea teorica, è sì.

Primo, perché il debito della Grecia è per gran parte, circa il 75% del totale, in mano ai creditori ufficiali, cioè Fondo monetario internazionale (Fmi), European financial stability facility (Efsf), Bce e Esm.

Secondo, perché secondo diversi analisti finanziari, come Paul Donovan di UBS, questo sarebbe un “non evento”, in quanto già prezzato dagli investitori in tempi non sospetti. Terzo, perché l’area euro di oggi è un posto più sicuro, capace di contingentare eventuali emergenze finanziarie in maniera più efficace che in passato. 

Da noi nessun cambio di rotta su Atene

Perché non è gestibile l’uscita?
La teoria, in ogni caso, deve fare i conti con la realtà. E questa vede poche chance per l’uscita della Grecia dall’euro. Tralasciando le problematiche legate ai trattati europei, che non prevedono questa opportunità, meglio guardare agli altri aspetti principali.

Primo, le conseguenze finanziarie sono ignote. Si era detto che Lehman Brothers poteva fallire e poi le conseguenze sono state così devastanti da costringere gli USA e la Federal Reserve a rivoluzionare il loro approccio per mitigare il collasso dell’industria bancaria globale.

Secondo, avallare l’idea che la Grecia possa secedere significa creare un precedente tanto pericoloso quanto destabilizzante per l’area euro.Sarebbe come affermare, di fronte alla comunità finanziaria internazionale, che l’Unione economica e monetaria è un unione fittizia, in cui uno può entrare o uscire liberamente, senza curarsi dei rapporti commerciali esistenti o delle obbligazioni contratte.

Terzo, Atene sarebbe costretta a una rinegoziazione dei contratti posti in essere e un’estromissione de facto dai mercati obbligazionari. Una situazione che renderebbe il Paese ancora più povero di oggi. 

L’ipotesi della cancellazione del debito
Oggi, su Il Corriere della Sera, l’economista della London Business School Lucrezia Reichlin ha argomentato sull’utilità marginale di un nuovo patto fra debitori e creditori nell’area euro. Nello specifico, una conferenza generale sul debito pubblico europeo, in modo che i Paesi incapaci di onorare le obbligazioni contratte, come nel caso della Grecia, possano avere un sollievo.

È il concetto di debt forgiveness, o cancellazione (totale o parziale) del debito. In pratica, una riproposizione del Patto di Londra del 1953, quando ci fu l’accordo sui debiti esteri germanici dopo la Seconda guerra mondiale. Applicare lo stesso strumento per la Grecia può essere suggestivo, ma niente più. 

Per la Grecia servirebbe una conferenza generale sul debito europeo

La credibilità in pericolo
Quando un investitore pianifica una posizione, guarda diverse variabili a seconda della classe di asset. Se si tratta di titoli di Stato analizza in modo prevalente la credibilità del Paese emittente e la sostenibilità delle sue politiche pubbliche nel lungo periodo.

E quale credibilità può avere un’Unione che permette a tutti i viziosi di contrarre debiti a volontà e violare le regole, salvo poi cancellare il debito con un colpo di spugna? E chi vieta a chi ha sforato sistematicamente i vincoli da tutti sottoscritti di farlo di nuovo?

Allo stesso modo, che immagine avrebbe un’area macroeconomica nella quale si entra e si esce in base alla convenienza del singolo, curandosi solo degli interessi nazionali? Per i mercati finanziari il concetto di indulgenza, parziale o plenaria che sia, non esiste. Esistono invece credibilità e sostenibilità. Due valori che, nel caso dell’eurozona e della Grecia, si ottengono solo con quelle riforme strutturali che tanto sono state promesse e poco attuate.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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