Ecco il Quantitative Easing di Mario Draghi
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Economia

Ecco il Quantitative Easing di Mario Draghi

60 miliardi di euro di acquisti di titoli, anche di Stato, ogni mese. Oltre 1.000 miliardi di euro per rilanciare l’eurozona. Ma basterà?

Bazooka doveva essere, almeno secondo le aspettative, e bazooka è stato. La Banca centrale europea (Bce) ha deciso di iniziare a comprare titoli di Stato e corporate per circa 1.000 miliardi di euro fino al settembre 2016. Si tratta della versione europea del Quantitative easing (Qe) statunitense. In pratica, saranno comprati asset per 60 miliardi di euro al mese. Il tutto con la speranza che questa freccia, l’ultima nella faretra di Mario Draghi, sia sufficiente a far uscire l’area euro dalle attuali sabbie mobili. 

Compreremo asset per 60 miliardi di euro al mese fino al settembre 2016

Quanto comprerà e cosa?

Da oggi anche l’area euro ha il suo Qe. Proprio come gli Stati Uniti d’America. Dopo mesi di studi e analisi, per evitare che l’intera zona euro finisca nelle sabbie mobili della stagnazione, Mario Draghi ha rivelato al mondo la sua ricetta definitiva (o almeno così si spera) per rilanciare l’economia. Incurante della pressione della Germania, la quale non ha mai nascosto i propri dubbi a riguardo di una politica monetaria così aggressiva, Draghi ha deciso che la Bce comprerà bond governativi e titoli corporate per un totale di 1.000 miliardi di euro per un orizzonte temporale da qui al settembre 2016. Nello specifico, saranno acquistati titoli pubblici, titoli privati e titoli delle istituzioni europee, con le perdite condivise con il resto dell’eurosistema. La Bce ha imposto un tetto massimo del 33% per ogni emittente di titoli e del 25% per ogni singola emissione. Un modo per aggirare il vincolo di finanziamento monetario, vietato dai trattati europei, e di mitigare il rischio fra le banche centrali nazionali.

Cos'è il Qe, il quantitative easing della Bce


Le differenze con gli altri Qe

Quello della Bce sarà un Qe differente da quelli osservati finora. Prima di tutto, come ha spiegato Goldman Sachs, per via del contesto. “Il Qe della Bce è diverso e non solo a causa della mancanza di unità dell’area euro. Tassi nominali e rendimenti a termine sono già molto più bassi rispetto agli Stati Uniti prima dei suoi programmi di Qe”, spiegano gli analisti della banca americana. Inoltre, “i tassi reali sono molto più bassi che in Giappone prima che iniziasse il passaggio al Qqe (Qualitative quantitative easing, ndr)”. Infine, continua Goldman Sachs, “la Bce si trova ad agire in un contesto con aspettative di mercato sull’inflazione decisamente diminuite in tutto il mondo e rafforzate dal calo del prezzo del petrolio”. Sotto un profilo operativo, conclude Goldman Sachs, il Qe nella versione di Draghi “può fornire un maggiore supporto se è in grado, da un lato, di restringere gli spread del credito sovrano nei Paesi periferici e, dall’altro, di convincere il mercato ad aumentare le aspettative di inflazione più a lungo termine”. Traduzione: deve convincere gli investitori sull’inversione di rotta nella zona euro e sul ripristino del corretto meccanismo di trasmissione della politica monetaria. Un compito non facile. 

Ora gli Stati devono adottare le riforme strutturali rapidamente


Quali sono i rischi?

Infatti, è ancora da comprendere in quale modo questa politica monetaria possa trasferirsi in modo diretto all’economia reale. L’idea di base è che, dal momento che buona parte del debito pubblico degli Stati membri è detenuto dalle banche dell’eurozona, se gli istituti di credito vengono liberati di questo fardello potranno ricominciare a erogare prestiti a famiglie e imprese. In diversi Paesi della zona euro, quali Francia e Italia, non è tanto l’offerta di credito a essere un problema, quanto la domanda. E cosa succederebbe nel caso nemmeno il Qe della Bce dovesse risultare vincente? Come aveva spiegato un mese fa la banca statunitense Morgan Stanley, “questa è l’ultima spiaggia della Bce. Se lancia il Qe avrà esaurito le armi a disposizione”. 

Il ruolo delle banche centrali nazionali

Un altro nodo da sciogliere, almeno dal punto di vista operativo, è la condivisione del rischio. Dato che si tratta di una misura di politica monetaria, l’implementazione è una prerogativa delle banche centrali nazionali. Di conseguenza, la Banca d’Italia comprerà in nome e per conto della Bce, così come la Bundesbank e il Banco de España. Come si è sempre fatto, del resto. Ma fino a che punto potranno prendere rischi? E fino a che limite potranno operare in modo indipendente? In sostanza, l’80% delle misure addizionali decise oggi sono sulle spalle delle banche centrali nazionali. E la piena adozione del Qe è tutta da verificare.

Questa è l’ultima arma a disposizione della Bce

E le riforme?

Un altro quesito irrisolto è l’impatto che il Qe potrà avere sulle politiche pubbliche nell’eurozona. La più grande paura della Germania, e in generale del cuore della zona euro, è che il Qe funga da deterrente per la piena adozione delle riforme strutturali promesse da alcuni Stati membri, quali Francia e Italia. Più i tassi sul mercato obbligazionario sono bassi, più si riduce il senso di urgenza per le riforme necessarie per rendere più sicura l’area euro, meno l’eurozona sarà ritenuta sicura nel lungo periodo dagli investitori internazionali. In sostanza, un circolo vizioso che è destinato a continuare e a deteriorare sempre più le prospettive sulla zona euro. Draghi lo ha ricordato più volte: “Ora tocca ai governi fare la loro parte”. Anche perché più di così, la Bce non può fare. 

Credibilità in pericolo?

Infine, bisogna ravvisare un problema che è emerso solo nell’ultimo periodo e che potrebbe minare alla credibilità futura della Bce. Si tratta della serie, sempre più pesante, di fughe di notizie dall’Eurotower. Quasi tutti i dettagli, o almeno i più significativi per gli investitori internazionali, erano noti prima della riunione di oggi. Un conto sono le aspettative dei mercati, un altro sono le profezie autoavveranti. Se la Bce non riesce a controllare in che modo si formano le attese, è difficile che possa essere ritenuta indipendente e credibile dagli osservatori esterni. In quest’occasione si è creato un precedente che potrebbe avere ripercussioni nel futuro. Ma, per ora, i mercati hanno avuto ciò che volevano. Anzi, di più. E questo basta a tutti per gridare al miracolo.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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