Mario Draghi strilla l'Italia e affila le armi
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Economia

Mario Draghi strilla l'Italia e affila le armi

Senza investimenti e riforme non c'è crescita. E intanto dalla Bce sono pronti a investire in titoli cartolarizzati e a comprare titoli di Stato. Due misure che potrebbero aiutare banche e imprese a mettere in circolo denaro

La situazione è ancora grave, ma non emergenziale. È questo in sostanza ciò che ha detto Mario Draghi dopo la riunione mensile della Banca centrale europea, che ha mantenuto saldi i tassi al minimo storico e ha rimarcato che è pronta ad adottare "misure non convenzionali" nel caso il livello generale dei prezzi al consumo non ricominci a salire nella seconda parte dell’anno. L’ipotesi di un Quantitative easing (Qe) in stile Federal Reserve è ancora in piedi. Ma nel discorso di Draghi non è mancata una stilettata all’Italia.

Tutto come da previsioni.
I principali tassi d’interesse della Bce - rifinanziamento, depositi e Marginal lending facility - sono rimasti invariati, e Draghi ha puntato tutto sulla "forward guidance", le indicazioni prospettiche che dopo la crisi subprime sono diventate cruciali per gli investitori. Il numero uno della Bce ha sottolineato che il periodo di bassa inflazione che attualmente sta vivendo l’eurozona - a luglio l’indice dei prezzi è cresciuto dello 0,4% su base annuale, il minimo dal 2009 - è destinato a durare ancora per un moderato momento. Ma da ora in poi, i valori dovrebbero tornare vicini al target della Bce, il 2".

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"La colpa della bassa inflazione è legata ai costi dell’energia", ha detto Draghi. Per ora, gli investitori continuano a credergli, anche se in molti mugugnano, come gli economisti di Société Générale o quelli di Barclays. Se le cose non dovessero andare secondo le previsioni della Bce, Draghi ha pronta l’arma di riserva. "Stiamo continuando a studiare il mercato delle Asset-backed security (titoli garantiti da altri titoli, molto spesso di credito, o Abs)", ha ribadito il banchiere centrale. In altre parole, se l’inflazione non dovesse invertire la propria rotta, la Bce è pronta a entrare sul mercato tramite l’acquisto di asset.

Per l’istituzione monetaria di Francoforte si tratterebbe di una nuova mossa estrema, dopo il lancio in giugno delle operazioni chiamate "Targeted longer-term refinancing operation (Tltro)". Tramite le Tltro, proprio come accadde per la precedente versione (Long-term refinancing operation (Ltro) del dicembre 2011 e del febbraio 2012) le banche dell’euro-area potranno aprire diverse linee di credito in modo da iniettare capitali freschi nell’economia reale. O almeno questo sarebbe l’obiettivo iniziale della Bce. E non è detto che si raggiunga.

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Cosa fare quindi, in caso di stime sull’inflazione discordanti e pochi miglioramenti sul fronte del credito alle imprese? Nella faretra della Bce ci sono alcune frecce che possono essere scoccate.

La prima riguarda le Abs. Tramite l’acquisto di cartolarizzazioni sul mercato secondario, banche e imprese potrebbero rivitalizzare i propri bilanci e aumentare la capacità di fornire liquidità all’economia reale. Non solo. Un intervento della Bce sul mercato delle cartolarizzazioni potrebbe spingere altri soggetti a investire nello stesso settore, alimentando un circolo virtuoso.

Le cifre non sono risibili. Secondo un paper del think tank Bruegel dello scorso maggio , l’intero segmento delle cartolarizzazioni dell’area euro vale 1.057,2 miliardi di euro. Paesi Bassi, Spagna e Italia gli Stati dove sono più utilizzati, con mercati che valgono rispettivamente 263,5 miliardi di euro, 183,6 miliardi e 178,9 miliardi. Il problema, come ha ricordato un report di Goldman Sachs di inizio giugno, è che in Spagna e Italia le cartolarizzazioni hanno subito un rallentamento negli ultimi due anni. Colpa della scarsa fiducia degli investitori internazionali. Ecco perché un eventuale intervento della Bce potrebbe essere utile ad agevolare il finanziamento delle imprese, anche medio e piccole.

Un’azione mirata sulle Abs, e non su tutte le cartolarizzazioni, è caldeggiata anche dalla Securities industry and financial markets association (Sifma), una delle lobby finanziarie mondiali, che ha ricordato come il mercato delle nuove emissioni di Abs in Europa sia calato dai 1.200 miliardi di dollari del 2008 ai 239 miliardi del 2013. Un declino costante. Su questo fronte, secondo un altro paper di Bruegel la Bce ha due opzioni: o agire immediatamente o attendere e studiare meglio la dinamica del mercato in questione. Nel primo caso, l’impatto sarebbe più diretto, ma anche più piccolo. Nel secondo, gli effetti sarebbero maggiori, ma si rischia di innervosire gli investitori. Per ora, Draghi pare aver scelto la seconda opzione, ma nel caso le prossime previsioni macroeconomiche dovessero essere al ribasso, potrebbe cambiare idea.

L’altra freccia a disposizione è quella politicamente più complicata, ovvero l’acquisto massiccio di bond governativi (secondo i principi del quantitative easing). Draghi lo ha detto apertamente: "Un eventuale Qe includerebbe sia asset pubblici sia asset privati". Un’ipotesi però osteggiata dalla Germania, che la considererebbe una violazione dello statuto della Bce - che vieta il finanziamento monetario e gli aiuti diretti ai Paesi - e con un azzardo morale assai elevato. Infatti, ancora una volta Draghi ha ribadito, seppur con parole diverse dal solito, un concetto ben noto, cioè che la politica monetaria della Bce non può sostituire i governi.

La traduzione del Draghi-pensiero è facile: se non si introducono precise riforme strutturali nei Paesi meno virtuosi, le azioni della Bce non saranno sufficienti ad arginare la contrazione della credibilità internazionale degli Stati in questione. Un messaggio, nemmeno troppo velato, a Francia e Italia, due economie che stanno faticando più delle altre ad agganciare la ripresa economica dell’area euro. Un messaggio che si è fatto più duro per Roma quando Draghi, senza mezzi termini, ha detto che la mancanza di riforme frena gli investimenti. Una frase che non deve essere passata inosservata né a Palazzo Chigi né al Tesoro.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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