La finta flessibilità di Angela Merkel
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Economia

La finta flessibilità di Angela Merkel

Perché l'apparente segnale di apertura verso un minor rigore in Europa è stato interpretato con troppo ottimismo - Cosa Renzi non potrà chiedere all'Europa

Nessuno slancio in avanti. Nessuna flessibilità. Almeno non quella che contempli l'applicazione di nuove regole contabili rispetto a quelle esistenti. È questo, in buona sostanza, il discorso che oggi ha fatto il portavoce del governo tedesco Steffen Seibert, nel consueto incontro con la stampa di metà giornata. Eppure, da Aosta a Vibo Valentia, nella penisola italiana si è levato un coro che applaudiva alle decisioni di Angela Merkel, data favorevole a una maggiore flessibilità in ambito fiscale. A ben guardare, tuttavia, le cose sono un po' diverse.

Più tempo per il consolidamento del deficit, più spazio di manovra sugli investimenti, mano più tenue sul rispetto degli obiettivi di bilancio comunitari nel caso ci sia una severa recessione economica. È questo ciò che ha detto Seibert, senza altri giri di parole né pirotecniche inversioni di rotta rispetto al passato. Questo non significa che da domani gli Stati membri non dovranno più rispettare il parametro del deficit al 3% del Pil e quello del debito al 60%. Anzi. Come ha sottolineato Seibert, indietro non si torna.

Ma quindi dove sarebbe la novità? Nelle parole usate e nella dialettica utilizzata. Seibert non ha mai parlato di nuovo patto fiscale per l'eurozona, così come non ha parlato di un aggiustamento radicale del Fiscal Compact. Ha però lasciato la porta aperta, e che nella Cancelleria tedesca il vento era cambiato lo si sa da almeno un anno, a una maggiore flessibilità.

L'occasione, in ogni caso, è ghiotta. Sono almeno tre i punti su cui il presidente del Consiglio Matteo Renzi potrebbe puntare durante il semestre di presidenza dell'Ue, senza che Berlino sia contrariata.

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La Germania sa che nell'eurozona c'è un problema sempre più grave di domanda interna e che occorre spingerla entro i prossimi mesi per evitare che l'attuale quadro macroeconomico, già fragile e disomogeneo, si deteriori ulteriormente.

Il primo punto infatti riguarda gli investimenti. In cambio dell'adozione di riforme strutturali, si potrebbero liberare risorse da distribuire ai Paesi più virtuosi. Un esempio di come funziona questo meccanismo di incentivazione è quello dell'uscita di uno Stato membro dalla procedura d'infrazione per deficit eccessivo. Una volta che la Commissione Ue ha appurato che il Paese ha riordinato le proprie finanze pubbliche su una base sostenibile nel lungo periodo, allora si può dare il via libera allo sblocco di fondi. Un'idea, fanno notare i bene informati fra Bruxelles e Berlino, che non dispiace al cancelliere Angela Merkel. Il tutto a patto che ci sia un pieno mantenimento degli impegni da parte di tutti gli Stati aderenti al Fiscal Compact.

Il secondo punto riguarda gli aggiustamenti per il ciclo economico. L'architettura fiscale attuale contempla già delle deroghe al rispetto dei parametri del Fiscal Compact nel caso un Paese stia attraversando un significativo periodo di recessione. Un concetto che non è nuovo e che è stato utilizzato, per quanto riguarda il deficit, per Francia e Spagna. A entrambi i Paesi è stato dato più tempo per il rientro. Come mai? Perché avevano messo in atto riforme strutturali tali da essere riconosciute come positive e sostenibili nel medio-lungo periodo dalla Commissione Ue. E lo stesso potrebbe fare l'Italia, se e quando decidesse di adottare le raccomandazioni di Bruxelles.

Il terzo e ultimo punto su cui Renzi potrebbe puntare è il miglioramento dell'assetto finanziario dell'area euro. Come ha ricordato anche il Fondo Monetario Internazionale (FMI) nel suo ultimo rapporto annuale sulla zona euro, il percorso che sta portando verso la piena unione bancaria è ancora frammentato e vulnerabile. Il principale organo di vigilanza unica, che sarà in seno alla Banca Centrale Europea (BCE), è il Single Supervisory Mechanism (SSM). A lavorare fianco a fianco di questa nuova istituzione sarà, nel caso di crisi bancaria, il Single Resolution Mechanism (SRM), il meccanismo di risoluzione degli istituti bancari. Sullo sfondo ci sarà lo European Stability Mechanism (ESM), la rete di salvataggio dell'eurozona che da pochi giorni ha il potere di ricapitalizzare direttamente le banche, seppur dietro pesanti limitazioni. E sono proprio queste limitazioni contro le quali potrebbe decidere, a sorpresa, di combattere Renzi, in modo da rendere più flessibili gli apparati di supporto e gestione della crisi in ambito bancario. Così come potrebbe lottare per l'introduzione di financial backstop più ampi. In altri termini, reti di salvataggio più grandi, almeno dal punto di vista legale, per le banche in difficoltà a raccogliere nuovi capitali sul mercato.

La partita cruciale si giocherà in autunno. Quando cioè si aprirà la finestra di revisione , prevista da una specifica clausola, del Six Pack, il più significativo impianto di regole contabili che stanno alla base del Patto di stabilità e crescita, nato il 31 dicembre 2011. Arrivare con le idee decise su cosa si può fare e cosa no è fondamentale. Peccato che, a oggi, sembra che a governare sia la confusione.

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Fabrizio Goria

Nato a Torino nel 1984, Fabrizio Goria è direttore editoriale del sito di East, la rivista di geopolitica. Scrive anche su Il Corriere della Sera e Panorama. In passato, è stato a Il Riformista e Linkiesta e ha scritto anche per Die Zeit, El Mundo, Il Sole 24 Ore e Rivista Studio. È stato nominato, unico italiano, nella Twitterati List dei migliori account Twitter 2012 da Foreign Policy.

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