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ANSA/ LUCA ZENNARO
Economia

Etichette per alimenti: perché l'Ue boccia l'Italia

La legge del nostro Paese prevede da aprile l’obbligo di indicare lo stabilimento di produzione, una norma che però in Europa non vale

Nuovo scontro tra Italia e Europa in tema di etichette per alimenti. Fin da quando infatti a livello comunitario sono state introdotte le nuove norme su trasparenza e corretta informazione ai consumatori, dal nostro Paese si sono alzate voci polemiche circa la poca severità prevista a Bruxelles proprio sulle etichette.

Una circostanza che aveva spinto il nostro Paese a introdurre norme di carattere specifico, valide cioè solo in Italia. Ed è proprio su una di queste misure, che potremmo definire ad hoc, ovvero l'obbligo di indicare lo stabilimento di produzione dell'alimento venduto, che si è aperta una nuova diatriba con Bruxelles.

Vediamo di capire meglio i termini della questione e quali conseguenze potrà avere questo ennesimo conflitto legislativo con la Commissione europea.

Uno stabilimento di troppo

Come accennato, dal 5 aprile scorso nel nostro Paese vige un nuovo regolamento sulle etichette per alimenti, decreto 15 settembre 2017 n.145, che impone ai venditori di indicare in maniera precisa lo stabilimento dove il bene è stato materialmente prodotto.

Una norma a cui per tempo debito tutte le imprese di settore si sono adeguate, andando a modificare il vecchio modello di etichettatura. Peccato che ora da Bruxelles giunga una vera e propria bocciatura di questa misura tutta italiana.

Le motivazioni sono presto spiegate: la nuova disciplina sarebbe stata introdotta senza la previa approvazione della Commissione e dunque, il suo contenuto non è stato neanche preso in considerazione, visto che erano stati violati i percorsi procedurali per una sua corretta valutazione tecnica.

Tra l'altro, la lettera con cui Bruxelles annunciava questa bocciatura risale al gennaio scorso, e nonostante questo, si è lasciato che l'iter della legge in Italia proseguisse, e che le nostre imprese, come accennato, spendessero milioni di euro per adeguarsi al nuovo modello di etichettatura italiano.

Le conseguenze

Il nostro Paese ora rischia innanzitutto una procedura di infrazione e una conseguente multa per aver violato un regolamento europeo, il 1169/2011 entrato in vigore il 13 dicembre del 2014, quello appunto sulle etichette per alimenti.

E non servirà a nulla sostenere di aver introdotto norme più stringenti, perché queste ultime in ogni caso vengono percepite a Bruxelles come un ostacolo all'attività di altre imprese comunitarie in Italia. Senza contare, altra conseguenza molto imbarazzante, che ora nel nostro Paese, sul fronte delle etichette, si creeranno figli e figliastri.

Le imprese italiane che infatti avevano deciso di adeguarsi alle nuove norme, sostenendo come detto anche ingenti spese per i cambiamenti di etichettatura, dovranno convivere con altre aziende del nostro Paese che invece magari ancora non si erano messe in regola e che ora si vedranno bene dal farlo, e con aziende comunitarie che invece il problema di indicare lo stabilimento di produzione in etichetta non se lo erano proprio mai posto e che continueranno a comportarsi come hanno sempre fatto.

Questa vicenda rappresenta un duro colpo per le associazioni italiane agricole e di consumatori, che da tempo combattono, soprattutto a livello comunitario, un'aspra battaglia per la tutela del Made in Italy.

Le nuove norme infatti, permetteranno ad esempio di produrre un alimento in Cina e di inserire però in etichetta soltanto che esso è stato confezionato Italia, traendo in evidente inganno il consumatore che penserà invece di acquistare un prodotto nostrano al 100%.

Di certo la battaglia sulla trasparenza alimentare continuerà, ma intanto l'Italia, con questa storia delle etichette deve segnare un punto a sfavore.

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Giuseppe Cordasco

Sono nato e cresciuto ad Aarau nel cuore della Svizzera tedesca, ma sono di fiere origini irpine. Amo quindi il Rösti e il Taurasi, ma anche l’Apfelwähe e il Fiano. Da anni vivo e lavoro a Roma, dove, prima di scrivere per Panorama.it, da giornalista economico ho collaborato con Economy, Affari e Finanza di Repubblica e Il Riformista.

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