Economia

Monti e le tasse. Forse non lo sapremo mai

La critica maggiore rivolta al dimissionario Premier Mario Monti è stata quella di aver strozzato la crescita economica imponendo nuove tasse (IVA, IMU, imposte di bollo etc.) senza contemporaneamente ridurre la spesa pubblica, quella spesa capace di portare il paese …Leggi tutto

La critica maggiore rivolta al dimissionario Premier Mario Monti è stata quella di aver strozzato la crescita economica imponendo nuove tasse (IVA, IMU, imposte di bollo etc.) senza contemporaneamente ridurre la spesa pubblica, quella spesa capace di portare il paese sull’orlo del baratro dei 2mila miliardi di euro di debito pubblico. Non servono più tasse, serve più crescita! Questo il grido dei critici. Lo avete sentito dire anche dal vostro giornalaio, ci scommetto.

E’ una critica da prendere a scatola chiusa? La giusta valutazione dell’anno di governo tecnico? Oppure Monti ha fatto l’unica cosa che si poteva fare?

L’Italia non può risolvere la sua montagna di problemi in pochi mesi, questo, è evidente, non lo si poteva chiedere nemmeno all’ex Rettore della Bocconi (che pure con le pensioni, l’Imu, la mezza riforma del lavoro, l’imposta al 20% sulle rendite finanziarie, di cose ne ha fatte parecchie). Quello che si poteva realisticamente chiedere a Monti era invece di ripristinare la fiducia dei mercati finanziari, di modo che continuassero a finanziare l’Italia nelle sue necessità di roll-over (sostituzione di debito vecchio con debito nuovo) per circa 300-400 miliardi l’anno. Parliamoci chiaro, non c’è nessuna manovra di bilancio che possa trasformare 2mila miliardi di debito da una montagna di sterco a una montagna di fiori. Avere 2mila miliardi di debito o averne 1950, o 1900 non cambia nulla, in ogni caso non li si potrà mai restituire domani o dopodomani, conta solo la credibilità di un Paese per continuare a re-indebitarsi di continuo, nel lungo termine, per 1900 miliardi, o 1950, o 2mila miliardi (a lungo andare non li restituiremo mai, questo è quasi certo).

Non serve rimborsare il debito, serve sembrare capaci di farlo. 

Cosa serviva, dunque, per rassicurare i mercati finanziari? Per fargli credere che siamo in grado di smettere quando vogliamo nell’accumulare debito pubblico?

Servivano il pareggio di bilancio e la stabilizzazione del rapporto deficit pubblico/PIL.

Perché?

1) perché l’ha detto la Germania

2) perché i mercati credono alla Germania e non a noi

3) discussione finita

Il pareggio di bilancio (entrate fiscali uguali alle entrate fiscali) è la prova d’amore che i tedeschi ci hanno chiesto per dare credito alla nostra ennesima promessa di cambiare. Sono il  pareggio di bilancio e la stabilizzazione del rapporto debito pil i due valori che la Germania e i mercati tengono più in considerazione in mezzo alla più grande crisi finanziaria di sempre.

Quindi?

Quindi siamo sicuri che se Monti non avesse alzato le tasse, anzi le avesse ridotte e contemporaneamente avesse tagliato la spesa pubblica sarebbe ripartita la crescita, ovvero il PIL?

Vediamo le ultime rilevazioni dell’ISTAT relativamente al PIL del secondo trimestre del 2012:

Consumi dei privati (C): 206,9 miliardi

+ Spesa pubblica (G): 74,3 miliardi

+ Investimenti (I): 61,9 miliardi

+ Esportazioni (E): 101,9 miliardi

- Importazioni (I) : 93,4 miliardi

TOTALE PIL del trimestre = 351,6 miliardi

Cosa doveva fare Monti secondo i critici della crescita? Semplice, doveva tagliare la spesa pubblica (supponiamo di 5 miliardi) e contemporaneamente tagliare le tasse per un equivalente ammontare (supponiamo un taglio aliquote IRPEF). Ma mentre l’impatto di questa operazione è chiaro dal lato della spesa calante, il fattore G (-5 miliardi), dove dovrebbe apparire in formula il recupero crescente di PIL per far sì che il totale del prodotto non cali, anzi aumenti?  Il problema di tagliare la spesa pubblica (G), aspettando che il ritorno del risparmio fiscale – i 5 miliardi lasciati nelle mani dei cittadini con gli sgravi fiscali – incrementi la crescita tramite l’aumento dei consumi (C) Investimenti (E) ed Esportazioni (E) è che queste voci hanno bisogno di un certo lasso di tempo per agire (sempre che arrivi, e non è detto).

Il “lag temporale” dipende da diversi fattori che hanno a che fare con 1) la fiducia nel futuro 2) le opportunità di investimento nel proprio sistema industriale 3) il mix di specializzazione produttiva del paese rispetto al proprio paese.

Supponiamo che Monti avesse tagliato la spesa pubblica di 5 miliardi con un taglio dei salari dei dipendenti pubblici (perché c’è poco altro da fare per agire sulla spesa, gli sprechi immaginati a tutti i livelli non esistono fino a quando non li si individuano, il famoso principio di indeterminazione del ladrocinio a spese dello stato) in cambio di una diminuzione dell’IRPEF sugli scaglioni più bassi per tutti i contribuenti, come immaginato dallo stesso governo Monti nei giorni di ottobre . Abbiamo che il PIL del nostro trimestre scende di 5 miliardi, immediatamente, per il calo di G, e aspetta che i cittadini beneficiati dal calo delle tasse utilizzino questi 5 miliardi per consumare di più (C), per investire in qualche progetto nuovo (I) oppure per aumentare le esportazioni (E). Funziona? Quanto ci vorrà?

Potrebbe volerci parecchio, per una serie di ragioni.

L’Italia non sta vivendo una crisi congiunturale, sta vivendo una crisi definitiva del proprio modello di sviluppo degli ultimi 30 anni, crisi caratterizzata dal declino industriale senza la nascita un altro modello post industriale efficace, in mezzo alla globalizzazione. Questa crisi sta chiedendo il conto tutto insieme e le prospettive della creazione di nuovi posti di lavoro e di nuovi investimenti non ci sono, se non in astratto. C’è invece sfiducia sulle prospettive dell’Italia che possiamo riassumere in questo modo:

1) anche se avessi dei soldi in più meglio risparmiare perché con questo casino rischio di perdere il posto di lavoro e mi tengo qualcosa per domani

2) anche se avessi dei soldi in più da investire non investirei certo in aziende italiane (si produce tutto in Cina e non saremo mai competitivi, non abbiamo la forza dello sviluppo tecnologico americano o tedesco) o a costruire una nuova casa. Sono dei binari morti, è troppo rischioso bruciare così i miei risparmi, consumerò di più (o investirò) ma tra qualche mese, o anno, non ora

3) anche se avessi dei soldi in più, con la produzione in calo che c’è rischio solo di pagare di più le cose, meglio aspettare che l’inflazione cali, magari comprerò dopo a prezzi più bassi, aspetterò delle offerte al ribasso, consumerò di più tra qualche settimana, o mese.

Capite che se questi 3 punti sono nella testa dei cittadini i soldi risparmiati con le tasse non verranno reimmessi immediatamente nel PIL tramite (C) o (I) e solo molto parzialmente in (E) qualora mancati consumi = meno inflazione + acquisti dall’estero.

Mi direte: ma i cittadini non ragionano così, hanno molta più fiducia nel futuro. Lascia più soldi in mano a loro, e fidati.

Ma non sono forse le banche a dare l’esempio negativo? A essere le più pessimiste? Avete sentito parlare del credit crunch, no? Nonostante la valanga di miliardi prestata dalla BCE tra 2011 e 2012 alle banche italiane queste hanno usato i soldi per comprare titoli del debito pubblico, oppure lì tengono lì, a marcire, per fronteggiare gravi crisi di liquidità o corse agli sportelli. E perché non li prestano ai privati, alle aziende, alla cosiddetta economia reale tramite mutui, fidi e prestiti a lungo termine? Semplice. Perché non ci credono. Non credono alla ripresa del mercato immobiliare e quindi non danno mutui. Sanno che molte aziende medio piccole italiane sono semplicemente spacciate e la crisi farà selezione, perché dunque investire nei loro progetti? Ecco qua. Semplice. Non ci credono, sanno che se prestano quei soldi probabilmente non li riavranno indietro. E se vogliono investire preferiscono usare i soldi del vostro conto corrente per costruire infrastrutture in Cina, o parcheggiare in investimenti sicuri in Germania.

Ribaltate il comportamento al livello dei cittadini con 5 miliardi in tasca degli ipotetici sgravi fiscali di Monti. In un sistema al capolinea come quello italiano, che non ha dinamismo riformatore e non ha ancora trovato una nuova strada, che non ha capacità di far fruttare gli investimenti, buttare soldi nel motore non serve. Quindi si risparmiano i soldi non pagati in tasse, non si spendono in consumi. E se proprio volessimo consumare si può pensare che compreremmo un nuovo prodotto tecnologico, magari un iphone della Apple perché ce l’hanno tutti. Peccato che sia un prodotto ideato in California e prodotto in Cina (esempio tipo di prodotto dal quale il sistema italiano è tagliato fuori) quindi si tratta per la maggior parte del suo valore di un prodotto importato (I), che come abbiamo visto nella formuletta sopra spiegata fa aumentare il PIL solo in maniera limitata (per la componenete C-I).

Se vi torna questo ragionamento allora si capisce perché Herr Monti non abbia tagliato le tasse, negli ultimi 12 mesi. Perché è molto probabile che tagliando ancora di più i salari pubblici e tagliando le tasse per egual valore, il PIL nel 2013-2014 sarebbe sceso ancora di più, invece che salire, pur in un sostanziale equilibrio di bilancio pubblico. In più aumenterebbe il rapporto debito/PIL, per caduta del denominatore (e la Merkel non vuole).

Operazioni di rilancio della crescita tramite taglio delle tasse funzionano nel medio – lungo termine, in sistemi altamente dinamici e innovativi, che sono in grado velocemente di creare imprese, nuovi consumi attraverso nuovi investimenti e un livello delle vendite al rialzo con tasso di produttività crescente. Oggi l’Italia non è così, è un paese sfiduciato e non in grado di creare nuova ricerca, nuove visioni, nuovi modelli industriali.

Ce la faremo, fra qualche anno, dopo aver cambiato il nostro modo di vivere e aver recuperato fiducia nel futuro. Dovremo prima toccare il fondo, perché siamo italiani.

Sono quasi certo che Monti avrebbe tagliato le tasse nei mesi, o anni a venire. Appena avesse capito che era il momento giusto per farlo.

Ma forse non lo sapremo mai.

 

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Paolo Landi